Benito Mussolini a Dalmine – 20 marzo 1919

Benito Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito
Benito Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito

Il primo sfogo sindacalista che diede vita a delle evoluzioni avvenne il 16 marzo 1919 al Dalmine, dove si verificò la prima occupazione con autogestione operaia della storia italiana, organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante che destò scalpore fu però soprattutto la continuazione della produzione, d’accordo con l’ottica produttivista che aveva acquisito il movimento: gli operai autorganizzati continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il tricolore nazionale. Due giorni dopo lo stesso Mussolini fu in visita agli stabilimenti:

« Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l’orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande oltre i confini »

(Benito Mussolini, Discorso del Dalmine, 20 marzo 1919, in “Tutti i discorsi – anno 1919”)

Lo sciopero lavorativo di Dalmine
17 Marzo. — Gli operai dello stabilimento Franchi e Gregorini di Dalmine (Bergamo), organizzati nelle corporazioni sindacali corridoniane, si agitano per questioni economiche e per il riconoscimento dell’Unione italiana del lavoro corridoniana. Essi invece di ricorrere al solito sciopero si chiudono nello stabilimento ed innalzano una grande bandiera tricolore. L’occupazione si svolge senza il minimo incidente e senza interruzione del lavoro. Benito Mussolini si reca sul luogo accolto trionfalmente dalle maestranze a cui tiene un appassionato discorso. Esse, dopo avere ottenuto il riconoscimento delle loro giuste richieste, riconsegnano lo stabilimento ai dirigenti.

Uno sciopero caratteristico
Riportiamo dal Popolo d’Italia la cronaca del fatto ed il discorso di Mussolini:

«Bergamo, 16 notte. — Dopo la presentazione del memoriale, da noi dato ieri, che la Ditta si rifiutò di discutere dopo un «ultimatum», che è scaduto ieri, gli operai dello stabilimento Franchi e Gregorini, circa 2000, hanno aperto le ostilità contro la ditta in un modo originalissimo e cioè chiudendosi tutti dentro lo stabilimento, obbligandosi al lavoro per non far mancare la produzione normale, ma promettendo anche di non uscire dallo stabilimento senza prima aver ottenuto soddisfazione completa.

«Fino a questo momento nessun incidente è a deplorarsi malgrado prestino servizio due agenti. Gli operai hanno costituito delle squadre di vigilanza per mantenere l’ordine e garantire l’incolumità delle macchine.

«Parecchi abboccamenti sono avvenuti oggi tra operai e proprietari nel gabinetto del prefetto e pare che le discussioni siano a buon punto per una soluzione soddisfacente per gli operai. Il punto maggiormente discusso, che lascia riluttanti i proprietari, è la richiesta del sabato inglese.

«Il tricolore dell’Unione sindacale di Dalmine è issato sul pennone dello stabilimento».

Una giornata a Dalmine – La magnifica manifestazione operaia. Un discorso di Mussolini

«Bergamo, 20 — Oggi le masse di Dalmine hanno in un comizio significativo riaffermato il loro diritto alla forma di agitazione adottata che tutti conoscono ed hanno vibrato alla parola impetuosa ed incisiva di Benito Mussolini il quale, a dichiarazione degli operai stessi, ha saputo dimostrarsi, come sempre, l’interprete magnifico della rinnovata coscienza popolare.

«Sin dalla mattinata alla stazione di Bergamo erano ad attender Benito Mussolini un gruppo numeroso di operai bergamaschi, di studenti e di ufficiali. L’operaio Croci, già direttore tecnico dello stabilimento di Dalmine, era venuto in rappresentanza della Unione Sindacale di Dalmine. Ma un contrattempo non permise l’incontro poiché Mussolini arrivò a Dalmine alle ore 12 in automobile.

«Una folla di circa 1200 operai l’attendeva ed il suo apparire provocò un applauso entusiastico. Dopo una breve visita nei locali della sezione dell’Unione Sindacale ed essendosi la folla operaia ingrossata di tutti gli impiegati dello stabilimento, l’operaio Secondo Nosengo, già presidente del Consiglio degli operai, fece cenno di parlare.

«La sua figura robusta, tozza, severa e virile, impose subito silenzio. Egli indossa ancora la completa tenuta di soldato, salvo le stellette.

«Dopo la nostra agitazione — così comincia — tutti parlano di Dalmine. Così anche Benito Mussolini che io vi presento, è venuto per conoscere da vicino il nostro movimento e per parlarvi. Io non so cosa vi dirà: egli viene a studiare il nostro movimento poiché noi abbiamo dato da pensare non solo ai padroni ed alle autorità, ma anche agli studiosi.

«Il nostro gesto spontaneo è, come molti gesti spontanei, come molte cose che si improvvisano, geniale. Potremo essere giudicati, lo saremo anzi. Mi piace rilevare però che qualunque sia questo giudizio, esso non potrà mai compromettere la nostra correttezza, poiché, fino a quando lo stabilimento fu in mano nostra, nulla fu toccato e tutto fu rispettato; quando intervennero i rappresentanti dell’autorità costituita, tutto fu sabotato e maltrattato e noi lo abbiamo constatato da ciò che abbiamo visto e… da ciò che non abbiamo potuto vedere».

«Dopo queste dichiarazioni dà la parola al compagno Mussolini. Salito Mussolini sul palco, è accolto da un lungo e nutrito applauso. Mussolini si scopre, saluta e parla. Raccogliamo le linee principali del suo discorso.

«— Dopo 4 anni di guerra terribile e vittoriosa nella quale sono state impegnate le nostre carni e il nostro spirito, mi sono spesso domandato se le masse sarebbero ritornate a camminare sui vecchi binari o se avrebbero avuto il coraggio di cambiare strada. Dalmine ha risposto. L’ordine del giorno votato da voi lunedì è un documento di valore storico enorme, che orienta, che deve orientare il lavoro italiano.

«Il significato intrinseco del vostro gesto è chiaro, è limpido, è documentato nell’ordine del giorno. Voi vi siete messi sul terreno della classe ma non avete dimenticato la Nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici. Per gli interessi immediati della vostra categoria voi potevate fare lo sciopero vecchio stile, lo sciopero negativo e distruttivo, ma pensando agli interessi del popolo, voi avete inaugurato lo sciopero creativo, che non interrompe la produzione. Non potevate negar la Nazione, dopo che per essa anche voi avete lottato, dopo che per essa 500 mila uomini nostri sono morti. La Nazione che ha fatto questo sacrificio non si nega poichè essa è una gloriosa, una vittoriosa realtà. Non siete voi i poveri, gli umili e i reietti, secondo la vecchia ret-torica del socialismo letterario, voi siete i produttori, ed è in questa vostra rivendicata qualità che voi rivendicate il diritto di trattare da pari cogli industriali. Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente che ignorano tutto ciò che in questi ultimi 4 anni è avvenuto nel mondo, che la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve sostituirsi con quella del capitano della sua industria da cui può chiedere il necessario per se, non già imporre la miseria per gli altri creatori della ricchezza.

«Voi non avete provato per la brevità del tempo e le condizioni di fatto createvi dagli industriali, la capacità a fare, ma avete provato la vostra volontà, ed io vi dico che siete sulla buona strada, perchè vi siete liberati dai vostri protettori, vi siete scelti nel vostro seno gli uomini che vi dirigono e che vi rappresentano e ad essi soli avete affidato il vostro diritto.

«Il divenire del proletariato è problema di volontà e di capacità, non di sola volontà, non di sola capacità, ma di capacità e di volontà insieme. Vi siete sottratti al gioco delle influenze politiche (affilatisi). I vostri applausi me lo dimostrano. Ma io non appartengo alla genìa di quei Maddaleni che ho frustato a sangue. Sono fiero di essere stato interventista. Se fosse necessario vorrei incidere a caratteri di scatola sulla mia fronte la testimonianza per tutti i vigliacchi che io sono stato tra quelli che nel maggio splendido del 1915 hanno chiesto a gran voce che la vergogna dell’Italia parecchista cessasse (acclamazioni) .

«Oggi che la guerra è cessata, io che sono stato in trincea, tra il popolo d’Italia, ed ho avuto per lunghi mesi e quotidianamente la rivelazione in tutti i sensi del valore dei figli d’Italia, oggi, io dico, che bisogna andare incontro al lavoro che torna, e a quello che, non imboscato, ha nutrito le officine, non col gesto della tirchieria che non riconosce ed umilia, ma collo spirito aperto alle necessità dei tempi nuovi. E coloro che si ostinano a negare le «novità» necessarie o sono degli illusi o sono degli stolti che non vedranno la sera della loro giornata.

«Non ho mai chiesto ed oggi meno che mai nulla chiedo ne a voi ne a nessuno. E perciò non ho ansie e preoccupazioni circa l’effetto che faranno queste mie dichiarazioni su di voi. Io vi dico che il vostro gesto è stato nuovo e degno, per i motivi che l’ispirarono, di simpatia. Ancora un rilievo: sul pennone dello stabilimento, voi avete issato la vostra, bandiera che è tricolore, ed attorno ad essa e al suo garrito avete combattuto la vostra battaglia. Bene avete fatto. La bandiera nazionale non è uno straccio anche se per avventura fosse stata trascinata nel fango dalla borghesia o dai suoi rappresentanti politici; essa è il simbolo del sacrificio di migliaia e migliaia di uomini. Per essa dal 1821 al 1918 schiere infinite di uomini hanno sofferto privazioni, prigionia e patiboli. Attorno ad essa, quando era il segnale di raccolta, è stato versato nel corso di questi quattro anni di guerra, il fiore del sangue dei nostri figli, dei nostri e vostri fratelli.

«Mi pare di avere detto abbastanza».

«Per i vostri diritti, che sono equi, e sacrosanti, sono con voi. Distinguerò sempre la massa che lavora, dal partito che si arroga, non si sa perchè, il diritto di volerla rappresentare. Ho simpatizzato con tutti gli organismi operai, non esclusa la Confederazione generale del lavoro, ma più vicino mi sento con l’Unione Italiana del Lavoro. Ma dichiaro che non cesserò la guerra contro il Partito che è stato durante la guerra uno strumento del Kaiser, parlo del Partito socialista ufficiale. Esso vuole tentare sulla vostra pelle il suo esperimento scimmiesco, poichè non è che una contraffazione russa. Voi giungerete, in un tempo che non so se sia vicino o lontano, ad esercitare funzioni essenziali nella società moderna, ma i politicanti borghesi o semiborghesi non debbono farsi sgabello delle vostre aspirazioni per giocare la loro partita».

«Di me possono avervi detto quello che si vuole: non me ne importa. Sono un individualista che non cerca compagni nel cammino. Ne trova, ma non li cerca. Mentre infuria l’immonda speculazione politicante degli sciacalli che spogliano i morti, voi oscuri lavoratori di Dalmine, avete aperto l’orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa. È il lavoro che nelle trincee ha consacrato il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande, entro e oltre i confini».

Il discorso di Mussolini è spesso interrotto da applausi generali, ripetuti, spontanei e cordiali. A Mussolini seguono Ettore Bartolozzi e Michele Bianchi