Calcio, Italia-Austria | III giugno MCMXXXIV

 

La seconda edizione dei Mondiali si tenne per la prima volta in Europa. Fu l’Italia di Mussolini ad ospitare l’evento. Vi parteciparono 16 squadre nazionali, per lo più europee, visto che furono solo tre le sudamericane, alle quali si aggiungeva l’Egitto, in rappresentanza del resto del mondo. In particolare, rifiutò l’invito l’Uruguay, ripagando il torto subito con la mancata partecipazione italiana all’edizione precedente. È stata l’unica volta, nella storia dei mondiali, in cui la squadra detentrice non abbia difeso il titolo. Anche l’Argentina partecipò, ma inviando una squadra di seconde linee, temendo il saccheggio dei propri talenti da parte delle squadre europee. In quegli anni, a rappresentare il meglio del calcio europeo erano soprattutto le squadre della cosiddetta scuola danubiana, orbitanti intorno a Vienna, Praga e Budapest. In particolare, la scuola austriaca appariva come la più in forma, visto che poteva vantare un impressionante ruolini di marcia nell’avvicinamento ai mondiali: dal 1931 all’ottobre del ’32 l’Austria rimase imbattuta per undici incontri, cedendo solo contro l’Inghilterra, allo Stamford Bridge, ma con un onorevole 4 – 3 e una grande prestazione nella ripresa, tanto da uscire tra gli applausi del pubblico. In generale, tra l’aprile del 1931 e il giugno del 1934, il Wunderteam perse soltanto 3 partite su 31, mettendo a segno 101 gol. Pochi mesi prima dell’incontro di Londra, la squadra delle meraviglie austriaca’ (“Wunderteam”) aveva impressionato il mondo del calcio, andando a battere con un rotondo 5-0 la Scozia, altra squadra della Gran Bretagna, considerata all’avanguardia in quei tempi.

Proprio dalla scuola scozzese, erano arrivati nell’area danubiana quegli insegnamenti calcistici che avevano reso il calcio diverso dal “run and kick” inglese e più orientato al gioco palla a terra, alla fitta trama di passaggi e alla capacità di smarcarsi per ricevere il passaggio. Artefice principale del movimento calcistico austriaco fu Hugo Meisl, maestro di calcio che propugnava una rapida intercambiabilità dei ruoli in campo, mediando tra le teorie sistemiste britanniche (delineate dalla disposizione WM dell’Arsenal) e quelle metodiste europee (il cosiddetto WW). Prima dei Mondiali, l’Austria aveva vinto la Coppa Internazionale, una sorta di Europeo ante litteram. Il giocatore più rappresentativo di quella squadra fu l’attaccante Matthias Sindelar, definito “il Mozart del calcio” o anche “Cartavelina”, per l’esile conformazione fisica e la capacità di sgusciare tra gli avversari.

Alla semifinale contro l’Italia, l’Austria giunse dopo aver eliminato Francia ed Ungheria. L’Italia invece passò dopo un drammatico doppio confronto con la Spagna del portiere Zamora – per alcuni il miglior portiere di tutti i tempi – formazione aitante che aveva eliminato il Brasile di Leonidas. Essendo finito in parità il primo incontro, fu necessario infatti ripetere la partita. Tuttavia, fioccarono non poche polemiche intorno al primo incontro, per la tolleranza arbitrale verso il gioco duro degli azzurri. Inoltre, a detta degli spagnoli, la rete dell’ 1-1 di Ferrari fu viziata da un fallo di Schiavio sul Zamora. Nella ripetizione, in seguito all’asprezza del primo confronto, nell’Italia mancavano quattro giocatori, nella Spagna ben sette, incluso Zamora. Decise una rete di Meazza. Nell’Italia giocavano diversi oriundi, naturalizzati in tutta fretta per aumentare la competitività della squadra. Oltre a Orsi e Guaita, anche il forte centromediano metodista Monti, già finalista quattro anni prima tra le fila dell’Argentina (e non particolarmente simpatico ad alcuni azzurri, tra cui Schiavio, al quale anni prima aveva rotto una gamba), e Guaita. In rosa e in campo nella partita inaugurale contro gli USA, anche Amphilogino “Filò” Guarisi, un oriundo brasiliano, il primo, per la statistica, a laurearsi campione del mondo.

La semifinale tra Italia e Austria fu molto combattuta, e gli azzurri non si risparmiarono nella marcatura di Sindelar. A decidere l’incontro, un gol di Guaita, anche in questa circostanza convalidato tra molte polemiche, per un fallo di ostruzione di Meazza sul portiere austriaco. Il portiere dell’Italia Combi, fu protagonista in diverse occasioni.

Di seguito il tabellino dell’incontro:

Milano – Stadio San Siro – domenica 3 giugno 1934 ore 15.00
ITALIA-AUSTRIA 1-0 : Marcatori: 19’ Guaita
ITALIA: Combi, Monzeglio, Allemandi, Ferraris A., Monti L., Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari G., Orsi – Allenatore Vittorio Pozzo
AUSTRIA: Platzer, Cisar, Sesta, Wagner, Smistik, Urbanek, Zischek, Bican, Sindelar, Schall, Viertl – Allenatore Hugo Meisl
ARBITRO: Eklind (Svezia)
Qui, un video di quella semifinale

Al termine della manifestazione, l’Austria, oramai depressa, finì quarta, battuta anche dalla Germania nella finalina di consolazione. Le due squadre si ritrovarono di fronte nella finale delle olimpiadi del ’36 ed anche in quel caso, prevalsero gli azzurri. L’argento dell’Olimpiade fu l’ultimo risultato brillante conseguito dal Wunderteam. L’anno seguente, Meisl morì di infarto, mentre nel ’38, nonostante la qualificazione raggiunta, l’Austria rinunciò a partecipare ai Mondiali, in seguito all’annessione alla Germania nazista. Alcuni giocatori confluirono nella squadra tedesca, ma senza risultati apprezzabili. Ben più tragica la fine del fuoriclasse Sindelar, morto nel ’39 insieme alla moglie, ufficialmente in un’intossicazione da monossido dovuta ad incidente. Qualcuno parlò anche di suicidio. Ma, data la riluttanza di Sindelar ad indossare la divisa tedesca e la manifesta ostilità al nazismo, diverse ombre sono sopraggiunte sulla ricostruzione dell’episodio, rapidamente archiviato dalla Gestapo.

In finale gli azzurri si imposero per 2-1 in rimonta sulla Cecoslovacchia, altra grande del calcio danubiano, guidata dal portiere Planicka, altro fenomeno del ruolo. La Cecoslovacchia era stata capace di superare nel ’33 la stessa Austria e pochi giorni prima del mondiale, perfino l’Inghilterra. A metà della ripresa, i cechi passarono in vantaggio con una rete di Puc, pareggiata poco prima dello scadere da Orsi. Nei tempi supplementari, fu una rete di Angiolino Schiavio al 5° minuto (“Schiavio aveva nelle braccia e nelle gambe tanti piccoli uncini” scrisse Gianni Brera) a consegnare la Coppa Rimet agli azzurri. Dal mondiale che avrebbe dovuto consacrare il calcio danubiano, uscì invece rafforzata un’altra scuola, quella italiana guidata da Vittorio Pozzo, improntata alla tattica e alla strategia e destinata a durare e vincere ancora. A cominciare dai successivi mondiali francesi del ’38.

L’Italia era allenata allora da Vittorio Pozzo, un ex tenente degli alpini che era partito per la Grande Guerra con due libri sul calcio. Aveva imparato la tattica in mezzo alla disciplina e alla durezza dei campi di battaglia. Il suo stile era duro, militaresco: aveva ad esempio inventato i ritiri, ma lo faceva per creare lo spirito di corpo necessario per le partite. Non aveva problemi nel dire che per lui il calcio era una guerra in tempo di pace. Uomo duro, era però capace di proteggere i suoi giocatori nei momenti più duri, come quando furono contestati dal pubblico a Marsiglia nel 1938. Prima della partita con l’Austria, in un breve discorso, ricordò ai giocatori che i loro padri avevano combattuto e vinto una guerra contro l’Austria, e fece cantare ai giocatori “La Canzone del Piave”. La partita finì uno a zero e mandò l’Italia in finale, che poi vincemmo. Un’altra epoca, un’altra Italia.