Cézembre, l’isola che non si arrese – III IX MCMXLIV

I marò italiani in una foto tratta dal libro "L'été des moissons rouges" di Denis Lafond
I marò italiani in una foto tratta dal libro “L’été des moissons rouges” di Denis Lafond

Nei primi giorni di settembre del MCMXLIV, un manipolo di militari italiani rimase asserragliato assieme ai tedeschi nella terra più bombardata di tutti i tempi sulla piccola isola fortezza bretone. Un centinaio di marò, finiti per un capriccio della storia a combattere contro gli alleati che avanzavano dalla Normandia. Protagonisti di un’epopea a cui in Francia e in Germania vengono dedicati libri e persino racconti a fumetti. Hanno il sorriso di chi è appena tornato dall’inferno. Un manipolo di militari italiani che il IX IX MCMXLIV è rimasto asserragliato assieme ai tedeschi nella terra più bombardata di tutti i tempi: l’isoletta di Cézembre, in Bretagna. Cézembre è poco più di uno scoglio: lunga DCCL metri e larga al massimo CCC. In tre settimane fu colpita con diciannovemilanovecentosettantanove bombe d’aereo e circa ventimila proiettili d’artiglieria: un primato assoluto, mai superato nemmeno in Vietnam o in Iraq. Era una delle tante postazioni del Vallo Atlantico, riempita dai tedeschi di bunker e cunicoli in vista dell’assalto all’Europa. Una fortezza strategica: con i suoi cannoni poteva bersagliare Saint Malò e il suo porto, distanti solo tre miglia. E quando ai primi di agosto MCMXLIV sono arrivati gli americani, l’isola ha cominciato a sparare. Anche quando la città si è arresa, i tiri sono continuati, tormentando i fanti statunitensi. Il generale George Patton l’ha considerata una sfida. Su Cézembre è stato scatenato un volume di fuoco devastante. Gli alleati l’hanno letteralmente sepolta di ordigni. Notte e giorno, si alternavano bombardieri e caccia dal cielo. Lì per la prima volta in assoluto è stato usato il napalm: era ancora un’arma segreta, che creava colonne di fiamme terrificanti. La fotografa Lee Miller, la musa di Man Ray passata dagli atelier di moda alla prima linea, riuscì a scattare le immagini di quell’incredibile rogo che si alzava dall’isoletta, ma le pellicole le furono sequestrate dall’intelligenza. Dopo ogni incursione, però, dai rifugi italo-tedeschi riprendevano i tiri contro gli americani. Dopo pochi giorni, la battaglia è diventata una questione di propaganda. La radio e i giornali del Reich esaltavano il coraggio dei difensori; gli alleati mostravano nei cinegiornali i filmati con l’isola sommersa di bombe. Il XIII agosto sessantotto quadrimotori Liberator hanno sganciato duecentosessantacinque tonnellate di ordigni. Quattro giorni dopo sono arrivati XXXV P-38 Lighting con LXVIII barili di napalm. Di notte, la flotta germanica spediva navi veloci con rifornimenti. I primi viaggi riuscirono, poi le altre vedette vennero colate a picco. Ma il comandante tedesco, Richard Seuss, un ufficiale di marina di fede nazista, voleva rispettare l’ordine impartito personalmente da Hitler: resistere a ogni costo. Sopravvivere nella fortezza era durissimo. Gli uomini erano rintanati sottoterra, dietro le pareti di cemento: ogni colpo era un terremoto, napalm e fosforo si infilavano nelle feritoie, l’aria irrespirabile obbligava a indossare le maschere antigas. Il calore ha piegato persino le canne degli obici. Nella prima settimana ci furono quasi cinquanta morti. Il contingente italiano era diviso. Sull’isola all’inizio dell’assedio c’erano due ufficiali e poco più di cento marinai, inquadrati nella Divisione Atlantica della Repubblica Sociale Italiana. Pochi credevano nel Fascismo. Alcuni erano stati sorpresi dall’VIII settembre nella base di Bordeaux, da cui i nostri sottomarini operavano nell’Oceano. La gran parte invece era stata catturata dai tedeschi dopo l’Armistizio nei porti di Trieste e La Spezia ed era finita nei campi di concentramento in Germania. Lì, più per fame che per convinzione, avevano aderito all’ultima creatura di Mussolini e si erano ritrovati al fronte in Francia. Altri reparti simili erano sparsi lungo tutte le coste di Normandia e Bretagna: gli ultimi hanno combattuto il XXX aprile, quando il Duce era già morto. 

A Cézembre gli italiani presidiavano la ridotta a Sud, con una batteria contraerea. Molti erano artiglieri reduci delle battaglie navali del Mediterraneo. Dopo le prime ondate di bombardamenti, tre marò fuggirono a nuoto, senza andare lontano: i tedeschi li ripresero su uno scoglio. Un cuoco fu più fortunato, riuscì ad arrivare fino alla costa: «Solo il comandante tedesco e un pugno di suoi camerati impedisce la resa. Tutti gli altri non ce la fanno più. Stanno organizzando una rivolta», disse agli americani. Anche i tedeschi temevano l’ammutinamento: selezionarono una trentina di italiani, giudicati meno affidabili, e li imbarcarono su una delle vedette di soccorso. La nave affondò nella notte, forse per l’impatto di una mina, senza superstiti. Seuss riteneva che «un ufficiale e venti marò fossero eccellenti soldati», ma sospettava degli altri 46 uomini rimasti a Cézembre. Il XVIII agosto gli alleati mandano un motoscafo con la bandiera bianca sull’isola per chiedere la resa. Tre plenipotenziari scendono sull’unica spiaggia, stupiti dalla quantità di crateri scavati dai colpi. Ma i tedeschi non ne vogliono sapere. Da quel momento, gli attacchi si intensificano. Ondate di incursioni aeree, senza mai una pausa. Il XXIV agosto MCMXLIV Parigi cade, invece Cézembre rifiuta di nuovo la resa. Il comandante Seuss comunica che solo un cannone funziona ancora e che le scorte d’acqua possono durare solo dodici giorni. Gli alleati sono furiosi. Fanno intervenire anche una corazzata britannica, la Warspite, che sputa per ore bordate da CCCLXXXI millimetri: ogni proiettile contiene quasi mezza tonnellata di tritolo. Alcuni rifugi vengono sventrati, uccidendo tutti gli occupanti. Sul2la terraferma Patton ha fatto schierare cinque batterie di artiglieria: in quattro giorni scaricano XI-MCIII colpi di grosso calibro sulla fortezza. Altri CD aerei si accaniscono sulla postazione: il profilo dell’isola è irriconoscibile, le colline sono livellate dalle esplosioni. Gli americani vogliono chiudere la partita. Preparano una forza da sbarco: l’ora X scatta all’alba del II settembre. Ma quando i mezzi anfibi si avvicinano a Cézembre, pronti allo scontro finale, vedono una bandiera bianca. L’hanno issata gli italiani. I marò non sono disposti ad andare oltre, non vogliono farsi massacrare per quello scoglio bretone. Il comandante tedesco è infuriato: la difesa è impossibile, deve deporre le armi. Non vuole però avere a che fare con “i traditori”. Pone agli americani un’unica condizione: una resa separata. I fotografi immortalano la doppia cerimonia: in una spiaggetta circondata di macerie, Seuss accoglie gli alleati con il saluto nazista. In disparte, i due ufficiali italiani che si consegnano subito dopo. Anche i superstiti vengono trasferiti separatamente: sono CCXXVIII tedeschi e LXXI marò, tre dei quali feriti. Il servizio fotografico statunitense mostra i loro volti, mentre il III settembre vanno felici verso la prigionia. L’incredibile resistenza ha cambiato le sorti del conflitto in quel settore. Dopo la lezione, inglesi e americani rinunciano ad attaccare le fortezze tedesche nella costa meridionale della Francia, che restano circondate fino alla disfatta conclusiva del Reich: espugnarle sarebbe costato troppo. Ancora oggi, a oltre LXX anni di distanza, l’isola è in gran parte limitata: ci sono centinaia di ordigni inesplosi, che tre bonifiche non sono riusciti a eliminare. Solo la spiaggia è accessibile, mentre una barriera di filo spinato impedisce di arrivare ai rifugi e ai rifugi sotterranei, rimasti come nel giorno della resa. Restano in posizione i cannoni con le canne fuse, persino i letti metallici e i vetri delle bottiglie: un monumento alla follia della guerra.

Gianluca Di Feo