Gabriele d’Annunzio fu anche socialista

Gabriele d'Annunzio fu anche socialistaUn d’Annunzio poco conosciuto: il d’Annunzio socialista. Il saggio di Antonio Alosco colma una lacuna nello studio del poeta, che, come puntualizza Giordano Bruno Guerri nella prefazione, “non era socialista. Era anche socialista”. La versatilità e la complessità dell’uomo fu tale che critici e storici si sono dedicati all’approfondimento di altri aspetti, che non quello politico e, nella fattispecie, delle simpatie e anche di una certa formazione socialiste. Lo stesso Renzo De Felice, cui l’autore di “Gabriele d’Annunzio socialista. Un percorso sconosciuto dell’inimitabile vita del Poeta” fa riferimento, tralasciò questo lato della poliedrica personalità del Pescarese. Forse perché quel fulmineo passaggio dall’Estrema Destra all’Estrema Sinistra del deputato d’Annunzio il 23 marzo 1900 fu interpretato come una reazione ai metodi adottati in Parlamento dalla destra nella campagna contro l’Estrema Sinistra più che una vera convinzione, affinità di idee politiche. Attratto dall’ostruzionismo contro le leggi reazionarie del governo Pelloux, d’Annunzio fa il gesto, che si colloca perfettamente nel personaggio, che enfatizzò in un verso rimasto celebre: “di là i morti, vado verso la vita”. Dove i morti erano i rappresentanti di destra e i vivi gli antagonisti. D’altronde, sulla scarsa aderenza del pensiero dannunziano con le istanze della sinistra insiste lo stesso Alosco il quale, ricordando che il poeta dal 1900 al 1906 fu vicinissimo alle posizioni del Psi, per definire il ritorno nel 1907 nelle file di destra scrive: “rientrato nelle posizioni politiche originarie”, come se quella negli scranni opposti fosse stata solo una fuga, una incursione. Invece non dovette trattarsi solo di una effimera, momentanea simpatia. Non tanto perché la presenza del poeta comportò forti suggestioni, come accadde per il direttore dell’Avanti! Leonida Bissolati. Ma perché la permanenza del Vate a sinistra non si limitò a essere una sosta in attesa di rientrare negli spazi che gli erano più congeniali. Al Times, è vero, precisò di essere, come sempre, “individualista ad oltranza”, di una “individualità feroce”. Tuttavia, il suo attivismo politico fu notevole: non si esaurì in una tornata elettorale ma fu frenetico tra conferenze, presentazioni e interventi in fortini della sinistra, come Camere del Lavoro e Università popolari. Dopo il 1907 il Vate si trasferì in Francia ma rientrò nel 1915 per perorare l’ingresso italiano nella Guerra mondiale, liberare le terre irredenti e completare il Risorgimento. A 52 anni si arruola. Eroe riconosciuto e amato, il 12 settembre 1919 all’insegna dell’interventismo prende l’iniziativa e occupa Fiume; lo seguono almeno 4.000 legionari ma il numero sembra fosse almeno tre volte più grande; e tante donne fiumane. L’esperienza, criticata da più parti e anche dal Psi, lo riavvicina alla sinistra, soprattutto all’ala sindacalista rivoluzionaria. Anche perché la costituzione fiumana che stilò, Alceste De Ambris, la Carta del Carnaro, somigliava ai principi socialisti: istituzione repubblicana, abolizione del Senato, suffragio universale, istituzione di un Consiglio tecnico del Lavoro. Trascinandosi così le simpatie di quanti inizialmente furono contrari alla sua azione, come Labriola e Gramsci. In conclusione, per Alosco d’Annunzio resta innanzitutto un artista e un antesignano del fascismo, ma il suo pensiero fu animato da una vena corporativa socialmente progressista. Il libro è corredato da articoli di giornale dell’epoca, lettere autografe, atti e documenti.