Le ragioni dell’appoggio al fascismo di Antonio Salandra

La mia condotta politica di fronte al regime fascista fu ispirata da un pensiero e da uno scopo costante: adoperarmi per quanto potevo a trarne il maggior profitto nell’interesse del paese e a ricondurlo gradatamente dall’origine, senza dubbio anormale e da un certo punto di vista sovversiva, ad una normalità di vita legale inquadrata nelle nostre istituzioni statutarie. Di guisa che rimanesse saldamente acquisito il bene che il paese se ne attendeva: la restaurazione della stabilità e dell’autorità del governo, la pace interna, la sicurezza degli averi, soprattutto l’elevamento della coscienza nazionale nella giusta rivalutazione della guerra e della vittoria. A conseguire tali fini era, a giudizio mio, di molta utilità la collaborazione nostra, cioè degli elementi liberali non pregiudicati da complicità o da acquiescenze demagogiche, sebbene non ascritti al fascismo, che noi avremmo dovuto migliorare e contenere. Questi elementi si aggruppavano intorno a me: alcuni, non molti, amici provati dalla saldezza del loro consenso nelle ore oscure; altri, oscillanti prima sui margini di destra e di sinistra, uomini di retto sentire ma anime mediocri quali, purtroppo, abbondano nelle assemblee numerose. Si riaccostavano a me ora che mi reputavano tornato in auge e adatto per accompagnarli dignitosamente dalla democrazia al fascismo.

Ma al successo dell’ambizioso mio disegno si opponevano parecchi gravi ostacoli; ed era assai difficile superarli tutti e del tutto. Si possono riassumere: 1. nella natura stessa del movimento trionfatore, concepito e tradotto in atto come una reazione di forza armata ex-lege contro il pericolo che fu detto bolscevico e contro gli ordinamenti dello Stato impotente a fronteggiarlo; 2. nella qualità di coloro che erano stati gli operatori; molto fiore di gioventù generosa ed animosa raccoltasi a difesa di alte idealità patriottiche ed anche di legittimi interessi materiali e morali, a riscossa contro prepotenze plebee; ma non pochi, e non degli ultimi, di dubbia provenienza, esuli per gare interne e per dissensi personali dalle stesse organizzazioni demagogiche, di cui conservavano lo spirito e l’intonazione, o cercatori, un po’ alla ventura, dopo gli spostamenti della guerra, di un assetto economico e di un grado sociale – piccola borghesia disoccupata o non abbastanza occupata che si consacra alla politica in tutti i partiti, popola gli infimi gradi e tenta ansiosamente elevarsi alle vette; 3. finalmente, ma sopra tutto, nelle origini e nel carattere del capo – il duce come si lasciò di poi ufficialmente chiamare, – enigmatico miscuglio o alternativa di genialità e di volgarità, sincera professione di nobili sentimenti e di bassi istinti di rappresaglia e di vendetta, di rude schiettezza e di istrionismo mal dissimulato; di pertinaci asserzioni e di mutazioni subitanee, di efficace e talora travolgente eloquenza adorna di cultura e di buon gusto, e di presuntuosa ignoranza espressa in linguaggio plebeo: nel fondo, e come nota costante del suo essere morale, un esclusivo, sarei per dire, feroce culto di sé medesimo; una eccezionale energia volitiva sorretta da una verde virilità, un intuito pronto e spesso bastevole a sostituire la deficiente preparazione agli alti uffici; nessun limite di discriminazione tra il bene e il male; nessun indizio di senso del diritto: nel complesso una forza della natura non contenibile se non da forze maggiori.

Ognuno comprende come, in tali condizioni, la collaborazione mi si provasse non sempre facile né gradevole impresa, compensata – non voglio negarlo – da alcune soddisfazioni morali, segnatamente dalla rispettosa calda simpatia del meglio della gioventù fascista, ma amareggiata da fatti e da parole che rivelavano insanabili diversità di origine, di educazione, di temperamento politico.

Tratto da Memorie politiche di Antonio Salandra