Mussolini espulso dal Partito – 24 novembre 1914

Italian dictator Benito Mussolini (1883 - 1945), aged 22. Original Publication: People Disc - HW0218 (Photo by Topical Press Agency/Getty Images)L’assemblea milanese discute il “caso” di Benito, accusato di “tradimento”

“Gridino, strepitino, si avventino pure tutti insieme contro di me. Sono forte, nonostante io sia quasi solo: dirò, quasi, che sono forte appunto per ciò”

“La sede del quotidiano era miserabile e buia: poche stanze al primo piano di una grigia casa piccolo borghese, stretta fra le altre che avevano finestre e botteghe aperte sulla greve atmosfera della via Paolo da Cannobio, in un rione popolare non lontano dal centro. Un portico oscuro portava dall’ingresso numero 35 a uno squallido e umido cortile; di qui due anguste scalette conducevano a un ballatoio e ai locali di redazione poveramente ammobiliati. Il direttore stava rintanato in un cubicolo di pochi metri quadri, male illuminato e male arieggiato da una finestra aperta sui tetti. Il lavoro dei redattori si svolgeva là dentro, o nei caffè della strada o nella vicina tipografia. Agli scarsi mezzi tecnici facevano compenso l’entusiasmo moschettiere dei redattori e il disinteressato volontarismo dei collaboratori fissi ed occasionali. I servizi d’informazione erano modesti, abbondanti gli articoli, quotidiane le note polemiche che diedero al Popolo d’Italia spiccato carattere di giornale d’opinione, di formazione, di continua battaglia, e ne fecero un centro di discussioni, di incontri, di irradiazione di idee, di convergenza di simpatizzanti ed entusiasti d’ogni categoria sociale: intellettuali, professionisti, studenti, operai, militari; e d’ogni provenienza politica: socialisti, sindacalisti, anarchici, repubblicani, futuristi, di Milano e di fuori”. Con queste poche parole Pini e Susmel descrivono la partenza del Popolo d’Italia, il quotidiano fondato da Mussolini, l’organo di informazione che Benito amerà “fino alla passione”, per usare le sue stesse parole. Ebbe successo, Il Popolo d’Italia. Era una voce prorompente che “interpretò – dicono ancora Pini e Susmel – la crisi delle coscienze e l’attesa sempre più ansiosa di grandi eventi che prorompeva, specie nei giovani, dall’anticonformismo al vecchio costume politico sia borghese che sovversivo”.

Il Popolo d’Italia, insomma, sin dalla sua nascita aveva cominciato a dare fastidio ai nemici di Mussolini, soprattutto ai suoi “ex compagni”, che cominciarono ben presto a diffondere voci circa dubbi finanziamenti al giornale. Sui quotidiani il botta e risposta tra Benito e i suoi avversari politici (che lo accusavano di tradimento) divenne presto pesante e incisivo, al punto che ad un certo momento Mussolini scrive: “Apro le porte della mia casa, spalanco i miei cassetti, squaderno i miei registri, metto a disposizione tutte le ‘pezze giustificative’ della mia azienda, a quella qualunque commissione di amici o di avversari insospettati e insospettabili che vorrà indagare e riferire”. Si, purché anche gli altri fossero disposti a fare altrettanto. Naturalmente nessuno rispose nel merito di quest’ultimo punto, e l’attacco si spostò su Filippo Naldi, che gestiva Il Resto del Carlino, che venne accusato di aver finanziato Il Popolo d’Italia perché nemico del socialismo. Naldi smentì, Mussolini rispose: “Gridino, strepitino, si avventino pure tutti insieme contro di me. Finché mi resta una penna in mano, e un revolver in tasca, io non temo alcuno. Sono forte, nonostante io sia quasi solo: dirò, quasi, che sono forte appunto per ciò. […] Mi si accusa di ambizione. O Dio! Tutti, dal più al meno, abbiamo le nostre ambizioni, ma non è men vero che da questa passione soltanto io sia pervaso; perché, allora, avrei lasciato il partito di cui ero il primo, e la direzione del giornale che ne è l’organo potente?”. In effetti il ragionamento non fa una piega, dovettero convenirne anche i suoi avversari, perché nel merito rimasero tutti muti.

Il 24 novembre i socialisti italiani hanno – all’ordine del giorno dell’assemblea della sezione milanese – una priorità assoluta. Non si tratta dei diritti dei lavoratori, né di questioni relative agli operai, o di vicende “internazionali”. La priorità è Mussolini. “Punirlo”, per l’esattezza, mettere sotto accusa il “traditore”. Lui di certo non fugge, non lo ha mai fatto e anche questa volta è pronto a dare battaglia: “Io andrò al convegno: o meglio, tenterò di andare, poiché non è da escludere che si usi la forza per impedirmelo. Finché ho in tasca la tessera non intendo rinunziare ai miei diritti. E se mi riuscirà di entrare non rinunzierò  alla parola. La discussione sarà in tal caso tempestosissima. Non mi si potrà dire che io eviti le situazioni pericolose ; sono sempre disposto a pagare di persona”. Di questo evento abbiamo alcuni resoconti interessanti. Paolo Valera sulla Folla scrisse: “La vasta platea era nera di gente e la gente continuava a pigiarsi ai fianchi e al dorso. C’era odore di tribunale rivoluzionario. Il momento era di linciaggio. Più aumentavano i minuti d’attesa e più l’immenso salone si affollava e assumeva l’aspetto della capitale giudiziaria del proletariato italiano. […] Mussolini era cercato dagli occhi di tutti in tutti gli angoli. Non c’era. Erano passate le 10. Si incominciava a dubitare della sua venuta. Eccolo! Eccolo! Movimentazione di tutte le teste. Egli era come affondato in un pozzo umano. Era circondato da un gruppo di mussoliniani. ‘Traditore! Fuori! Giuda! Rabagas!’. La collera raggiungeva l’accusato da tutte le parti. Vedevo intorno a lui mani agitate, furiose, come udivo invettive che lo inseguivano e gli si attorcigliavano al collo come se avessero voluto strangolarlo. Non ho paragoni storici per la scena di ieri sera se non correndo tra coloro che hanno disseppellito le ossa di Marat per buttarle nella chiavica cittadina […] C’è voluta l’energia verbale di Serrati, uno dei tre direttori dell’Avanti!, a indurre l’assemblea infuriata ad ascoltarlo. Ma tutte le volte che faceva per parlare prorompeva il despotismo collettivo. […] Mussolini lasciava passare la bufera e poi riprendeva”.

“Mi odiate perché mi amate ancora!”
“Era lapidato dalla folla che lo aveva accarezzato, elevato, adorato, idolatrato, portato in trionfo”

C’è un passaggio del succitato articolo di Valera sulla Folla che vorremmo porre all’attenzione del lettore. Valera scrive nel 1914, eppure ciò che scrive – e come interpreta e commenta i fatti di quell’assemblea – ha una sinistra assonanza con i fatti che segneranno la vita dello stesso Benito Mussolini tre il 1943 e il 1945. Vediamo: “Era lapidato dalla folla che lo aveva accarezzato, elevato, adorato, idolatrato, portato in trionfo per la sua eloquenza sobria, demagogica, colorita, incurante dei pericoli giudiziari. […] Io ho veduto la spuma alle labbra degli spettatori, ho udito i muggiti della moltitudine. Io sono stato nell’uragano dei fischi. Io ho veduto Benito Mussolini in un atteggiamento napoleonico. L’ambiente in cui eravamo non sentiva pietà per lui. Al posto della pietà era il terrore, il linciaggio. I proletari avevano frantumato la loro statua”.

Vediamo invece come ne riferisce Margherita Sarfatti: “Quando sono andata in Ispagna, ho assistito a una corrida. Mi piace la boxe, e se fossi stata matrona romana avrei frequentato l’anfiteatro; ma la caccia all’uomo, l’uomo solo contro la moltitudine, è spettacolo da macello, non per l’arena. Mi astenni dalla grande assemblea socialista in cui l’idolo di ieri fu, non giudicato né condannato, ma giustiziato e linciato. La moltitudine, veramente, si trovava di fronte a una forte contropartita. Chi lo vide, dice di ricordare ancora l’eretico pallido. Mille voci gli imprecan contro, bocche ebbre di odio si aguzzan nel sibilo e sputano il vituperio. Tumulti isolati sorgon qua e là; qualche debole tentativo di applauso è sopraffatto dalla canea; qualche voce chiede invano il silenzio per l’accusato che si discolpa. Volano pugni; una donna nel tafferuglio prende a schiaffi i vociatori ostinati. Le parole giungono rotte: ‘Sono e rimarrò socialista… non è possibile tramutarsi l’animo. Il socialismo entra nella carne…’. […] Non lo lasciano proseguire; discende. Ma, quando le sole voci tacciono un attimo, vergognose di sé, torna di balzo il dominatore, che domani li avrà ancora frementi in pugno: ‘Voi oggi mi odiate perché ancora mi amate ancora!'”. Ciò che dice resterà tra le frasi più famose della sua storia. Viene espulso: “L’assemblea della Sezione socialista milanese convocatasi per discutere sul caso Benito Mussolini: di fronte alla manifesta violazione della disciplina di partito commessa  da Benito Mussolini colla pubblicazione del quotidiano ‘Il Popolo d’Italia’ e coi suoi scritti in opposizione ai deliberati del Partito, ritiene superflua qualsiasi discussione in merito; delibera senz’altro la sua espulsione dando mandato al comitato della Sezione per l’esecuzione del presente deliberato. Ammonisce inoltre i seguaci di Benito Mussolini al rispetto della disciplina. Viva il socialismo! Abbasso la guerra!”.

Benito se ne va. “Bonavita – scrivono Pini e Susmel – che lo accompagnò con gli altri fidi, scrive di aver pensato in quel momento a Socrate dopo il giudizio degli Eliasti, e al vecchio che mormorava: ‘Domani, dietro questo condannato, andrà tutta la gioventù di Atene'”.