Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana – X giugno MCMXXXIV

Comincia il periodo d’oro del calcio italiano. Con l’innesto di qualche giocatore oriundo sudamericano, il commissario unico plasma una nazionale ricca di volontà e di orgoglio, che riesce a superare formazioni tecnicamente più forti come l’Austria e la Cecoslovacchia

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934Il 10 giugno 1934 è una data storica per la Nazionale italiana, gli Azzurri guidati dal CT Vittorio Pozzo si laureano campioni del Mondo proprio nell’edizione disputata nel nostro paese. Dopo una cavalcata vincente arriva il fatidico giorno della finale disputata allo stadio Nazionale del P.N.F. a Roma. Le emozioni si susseguono sul finale di gara: al vantaggio avversario di Puc al 71′ segue il pareggio di Orsi all’81′. Si materializza così l’incubo dei tempi supplementari, decisi da un guizzo di Schiavio al 95′. Dopo tanta sofferenza l’Italia può finalmente gioire e alzare al cielo la sua prima Coppa del Mondo, nella prima edizione europea dei Mondiali. Fu nell’Ottobre del 1932, nel corso del 21.mo Congresso della FIFA che si tenne a Stoccolma, che i delegati italiani, Avv. Mauro in testa, ottennero la designazione ad organizzare nel 1934 la seconda Coppa del Mondo. La Federazione italiana aveva coronato così un desiderio che già si era rivelato per il Mondiale del ’30, sollecitata nei suoi disegni ambiziosi dal regime fascista che imperava allora nelle nostre contrade.

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934Le strutture calcistiche erano a quei tempi seconde alla sola Inghilterra, la Federazione organizzata su basi funzionali e gli impianti sportivi moderni e numerosi. Giuste quindi le ambizioni organizzative dell’Avv. Mauro e dell’Ing. Barassi e l’occasione fu ampiamente sfruttata dal regime fascista che aveva compreso la rilevanza politica dell’avvenimento, ed era disposto a rischiare sul piano economico pur di conquistare prestigio in campo internazionale.

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934Significative al riguardo le frasi del Generale della milizia Giorgio Vaccaro, succeduto a Leandro Arpinati alla guida della Federazione in seguito alla querelle fra quest’ultimo e Achille Starace; secondo il Vaccaro, «minimo obbligo morale implicito è di preventivare un deficit finanziario» della manifestazione. Ma non fu così, nelle diciassette partite disputate furono introitati 3.600.000 lire che corrispondono grosso modo ad 850 milioni odierni, con un guadagno netto di un milione del ’34, qualcosa come 240 milioni attuali.

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934Un successo insperato sul piano finanziario, al quale concorsero diverse componenti come la perfetta organizzazione federale, l’aiuto tangibile dello Stato sotto forma di facilitazioni di trasporto, di esenzioni fiscali e di concessione quasi gratuita degli impianti sportivi. Importante rilevanza ebbe anche la situazione politica di quel periodo, con la raggiunta stabilità interna del regime fascista e la scelta di Mussolini, nei colloqui con Laval, di far parte del fronte comune antigermanico. Hitler infatti aveva già ottenuto i pieni poteri dopo l’incendio del Reichstag e le mire espansionistiche tedesche convergevano in quel 1934 all’annessione dell’Austria cui si opporrà Engelbert Dolfuss, brutalmente assassinato dai sicari nazisti. L’Europa è già in piena ebollizione: crisi parlamentare in Francia, omicidi politici di Alessandro di Jugoslavia e del ministro degli esteri francese Jean Luis Barthou a Marsiglia, regolamenti interni al partito nazista nella «notte dei lunghi coltelli», ma ciò non impedì a centinaia di migliaia di persone di assistere alle partite della competizione mondiale o di seguirle via radio per tramite della voce appassionata di Nicolò Carosio.

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934Alla seconda Coppa del Mondo aderirono ben 32 nazioni delle 50 che erano affiliate alla FIFA. Si rese quindi necessaria la formazione di gironi eliminatori atti a selezionare le sedici formazioni che avrebbero preso parte alla fase finale. Scontata l’assenza della Federazione che deteneva la statuetta d’oro, in seguito alle vicende del ’30, e del pari sempre latitante l’Inghilterra ancora in guerra con la FIFA, della quale non riconosceva l’autorità. Del mondo britannico, la sola Irlanda libera partecipò alle qualificazioni, ma fu eliminata da Belgio e Olanda.  L’Argentina prese parte alla competizione con una squadra composta in massima parte di dilettanti, per il rifiuto delle società a concedere i migliori elementi alla «seleccion». Le società argentine temevano infatti una nuova spoliazione da parte degli europei come era avvenuto in seguito, alle Olimpiadi di Amsterdam e alla prima Coppa del Mondo. Al seguito di Orsi erano tornati nella terra dei padri Monti, Scopelli, Guaita, Stagnaro, Stabile, Sposito e altri di minore importanza.

Roma, Stadio Nazionale del PNF, 48.000 spettatori
Roma, Stadio Nazionale del PNF, 48.000 spettatori

Anche il Brasile mandò una formazione minore nella quale erano inseriti autentici fuoriclasse come Leonidas da Silva, il «diamante negro» e Waldemar da Brito, capocannoniere del torneo paulista del ’33 e futuro scopritore di Pelé.  In quegli anni il calcio brasiliano era invischiato in una situazione dirigenziale piuttosto fluida. La Confederazione (CBD) regolarmente affiliata alla FIFA, era in continua guerra con le altre associazioni in seguito ai fermenti scissionistici che derivavano principalmente dallo status dei calciatori.

La rappresentativa brasiliana presente a Roma
La rappresentativa brasiliana presente a Roma

Essendo dilettanti questi non avevano vincoli con le società per le quali giocavano e quindi liberi ogni anno di scegliersi il club per il quale giocare. Questa situazione innescava fenomeni di “dilettantismo marron” e quindi nel ’33 si decise di introdurre il professionismo, ma la disposizione provocò la fuga dei maggiori talenti del paese. Feitico che era un attaccante fenomenale, Domingos da Guia e molti altri scelsero la via dell’esilio ed è questa la principale ragione della scarsa attività della nazionale brasiliana in quel periodo. Dal 1931 al 1933 i brasiliani disputarono solamente due partite per la Coppa Rio Branco con l’Uruguay.

L'Egitto, prima squadra africana presente ai Mondiali
L’Egitto, prima squadra africana presente ai Mondiali

La sola sorpresa dei turni eliminatori derivò dall’imprevedibile esclusione della Jugoslavia da parte di Romania e Svizzera. Gli slavi che nel mondiale di Montevideo s’erano ben comportati tanto da classificarsi al terzo posto a pari merito con gli USA, non riuscirono a superare né la Svizzera di Minelli e Abegglen, né la Romania di Juliu Bodola, grande mezz’ala, primatista delle reti nella nazionale rumena ed in seguito ai destini della Transilvania, nazionale ungherese e compagno di Hidegkuti nell’MTK.

L’Italia non è favorita
Dopo la presenza a Montevideo, bis per il Belgio
Dopo la presenza a Montevideo, bis per il Belgio

Sedici formazioni dunque presero parte alla fase finale. Dodici europee, tre americane ed una africana. Partecipazione massiccia delle nazionali continentali con i favori del pronostico che indicavano chiaramente l’Austria e la Cecoslovacchia come probabili finaliste. Ma anche la Spagna di Zamora e Langara raccoglieva consensi, così come la Germania di Szepan e Conen. Agli azzurri la stampa continentale non concedeva molto in sede di pronostico, non in ragione di pregiudizi di sorta, ma in base a rilievi tecnici di effettivo riscontro.

Vittorio Pozzo a colloquio con Giuseppe Meazza
Vittorio Pozzo a colloquio con Giuseppe Meazza. Sulla destra si intravede Giampiero Combi

Dopo la conquista del terzo posto alle Olimpiadi di Amsterdam nel ’28, due avvenimenti molto importanti erano venuti a caratterizzare la vita della rappresentativa azzurra. Innanzi tutto l’avvento di Vittorio Pozzo nella carica di Commissario Unico della nazionale. Dopo le disastrose sconfitte nell’aprile 1929, 0-3 con l’Austria a Vienna ed 1-2 dalla Germania a Torino, Leandro Arpinati diede il benservito ad Augusto Rangone e a Carlo Carcano che aveva collaborato con una misteriosa commissione per l’incontro con i tedeschi. Da tempo si tentava di riportare nell’ambiente della nazionale Vittorio Pozzo, che già era stato dirigente tecnico a Stoccolma nel 1912 ed in seguito aveva fatto sporadiche apparizioni in commissioni piuttosto numerose o in veste unica per un brevissimo periodo nella primavera del 1924. Come tutte le persone poco avide che fanno dell’onestà la prima virtù da osservare, ad un certo punto della vita Pozzo era stato costretto a cercarsi un lavoro per il sostentamento suo e della famiglia. Era funzionario alla Pirelli di Milano e a tutto pensava fuorché tornare nell’ambiente calcistico.

Gli azzurri scelti da Vittorio Pozzo per i Mondiali del 1934
Gli azzurri scelti da Vittorio Pozzo per i Mondiali del 1934

Non seguiva neppure le partite di campionato per timore di essere riassorbito dalla passione sempre vigile e dedicava le ore libere dal lavoro alla montagna. Ma le insistenze ebbero ragione della ritrosia e a condizioni compromissorie che gli permettevano di mantenere il lavoro accettò di interessarsi della nazionale. Pensava ad un incarico di pochi mesi ed invece il suo mandato durò quasi vent’anni. Un record difficilmente ripetibile. Vittorio Pozzo è stato senz’ombra di dubbio il miglior tecnico fra i tanti ai quali è stata affidata la guida della nostra massima rappresentativa calcistica.

Nelle rievocazioni dedicate agli azzurri dai grandi soloni, si è tentato di sminuirne i meriti e le qualità. Brera addirittura ce lo rappresenta malevolmente da vecchio, costretto a farsi radere da un collega e tende più a sottolinearne i difetti che le virtù, tratteggiando il carattere accidioso e vendicativo. Altri tentarono una assurda interpretazione, ascrivendo gli innegabili successi più alle macchinazioni del regime che alle sue capacità di conduttore di uomini. In realtà Vittorio Pozzo, al di là dei tratti del carattere chiuso e impenetrabile era per quei tempi un tecnico all’avanguardia, informato minuziosamente del calcio di ogni nazione, studioso attento della psicologia degli uomini da mandare in campo e capace di osservare il calcio in proiezione dinamica ben oltre gli schematismi che tanto piacciono agli strateghi da tavolino.

Seguiva e studiava i progressi tattici del gioco e quest’aspetto della personalità passava per intollerabile presunzione in un paese che ha sempre prestato eccessiva attenzione ai praticoni e ai venditori di fumo. Certo Pozzo credeva profondamente nella disciplina e nell’amor di patria e per questo era un uomo in perfetta sintonia con il suo tempo, ma i successi del calcio azzurro di quegli anni nascono anche dalle scelte tecniche precise, dalla predilezione per elementi validi sul piano del gioco ma adeguatamente dotati di carattere, di volontà e di voglia di vincere. Altro evento di grande importanza nella vicenda azzurra di quel tempo la vera e propria razzia di talenti calcistici nel grande serbatoio latino-americano. Sfruttando con pragmatismo il riconoscimento della doppia nazionalità agli emigranti e ai discendenti, il calcio azzurro si trovò a poter disporre di autentici fuoriclasse che consentirono alla nostra rappresentativa un notevole salto di qualità. Già negli anni venti aveva giocato in nazionale Julio Libonatti, che ancora oggi detiene il record delle marcature fra i «reimpatriati» e con l’avvento di giocatori come Monti, Orsi, Guaita ecc. ecc., Pozzo si trovò fra le mani un materiale di prima qualità da plasmare con i prodotti del vivaio che in quel periodo rese elementi di grande personalità tecnica. I primi mesi di lavoro di Pozzo fruttarono una serie di risultati di rilievo e culminarono con il primo grosso successo della nostra rappresentativa con la conquista della Coppa Internazionale alla quale aderivano Austria, Cecoslovacchia, Ungheria e Svizzera. Con la vittoria per 5-0 (3 reti di Meazza) sul campo del Ferencvaros a Budapest, gli azzurri conquistarono la preziosa Coppa Svehla in cristallo di Boemia, ma non fu quello l’unico confortante effetto della esaltante affermazione. Pozzo aveva lanciato in prima squadra un nugolo di giovani elementi che formeranno più avanti la solita struttura della nazionale.

Oltre al già celebre Orsi che debuttò l’1 Dicembre del 1929 con Bertolini e Costantino, Pozzo concesse via via fiducia ad elementi come Meazza, Ferrari; Monzeglio che ritroveremo fra gli artefici delle conquiste mondiali degli azzurri. Altro evento importante nella costruzione del mosaico, l’arrivo in Italia di Luisito Monti, il centromediano del San Lorenzo, che al ritorno da Montevideo era stato accantonato come una scarpa vecchia. Luisito chiamato alla Juve da Cesarini era notevolmente appesantito dall’inattività e lasciò interdetti quanti lo andarono ad accogliere a Genova. Si allenò da solo sottoponendosi ad un durissimo regime alimentare ed in poco tempo riuscì a togliersi di dosso la zavorra che lo opprimeva. Quando Pozzo lo vide giocare capì che quello era il suo uomo, capì che quella carica di aggressività, di volontà dirompente era quanto di meglio potesse trovare per il ruolo di centromediano. Monti sostituì Attilio Ferraris nell’incontro Italia-Ungheria del 27 Novembre 1932 vinto dagli azzurri per 4-2, e proprio alla vigilia del mondiale Pozzo reinserì nella rosa «er core de Roma» quale possibile sostituto del mediano Pizziolo, molto dotato sul piano tecnico e più preoccupato della coordinazione stilistica che dell’efficacia negli interventi difensivi.

La disputa della seconda Coppa Internazionale conclusasi nel 1932 con la vittoria dell’Austria aveva ridimensionato la caratura degli azzurri, ma la stagione successiva fu una delle più positive con sei vittorie a spese di Germania, Cecoslovacchia e Svizzera sui campi di casa e Ungheria, Belgio e ancora Svizzera in trasferta. Di notevole rilievo il primo confronto con gli inglesi nel maggio del ’33. La partita terminò sul pareggio con qualche dubbio per il gol inglese segnato in sospetta posizione di fuorigioco. Fu un risultato di indubbio prestigio, battere i «maestri» non era cosa di tutti i giorni e riuscire a fermarli sul pari costituiva impresa di tutto rispetto. L’Italia sembrava quindi lanciata verso uno standard da grande potenza calcistica, quando pochi mesi prima dell’inizio della Coppa del Mondo, un tonfo casalingo inaspettato impostoci dall’Austria tradizionale bestia nera di quei tempi, fece insorgere nella stampa specializzata il dubbio che ben difficilmente gli azzurri avrebbero potuto liberarsi della sudditanza che mostravano di patire nei confronti della scuola danubiana. A giudizio della stampa internazionale Austria e Cecoslovacchia impedivano ai nostri azzurri ogni velleità di vittoria finale e tale opinione era condivisa da buona parte dei tecnici che si erano espressi prevedendo una classifica finale così composta: Austria e Cecoslovacchia per il titolo, Italia, Germania e Spagna con pari opportunità per le piazze d’onore.

Braccio di ferro tra danubiani e latini

Conclusi i turni eliminatori (l’Italia aveva superato la Grecia per 4-0) la macchina organizzativa era pronta per mettersi in moto. L’inizio vero e proprio fu anticipato dall’incontro fra Stati Uniti e Messico che avevano deciso di giocarsi la partecipazione alla fase finale direttamente in Italia. Il 24 Maggio, tre giorni avanti l’inizio ufficiale della manifestazione, gli «states» sconfissero il Messico e il gruppo delle sedici finaliste era finalmente composto per dare fuoco alle polveri. Il sorteggio per gli accoppiamenti degli ottavi non fu pilotato e fortunatamente la prima giornata di gare non prevedeva scontri tali da pregiudicare il prosieguo del torneo.

Bican realizza il terzo gol austriaco in Austria-Francia 3-2
Bican realizza il terzo gol austriaco in Austria-Francia 3-2

In qualche difficoltà incappò l’Austria nel confronto con la Francia a Torino. I transalpini che anche allora disponevano di una formazione di seconda forza, erano capaci di esaltare le loro qualità a seconda degli avversari che incontravano. Poco prima del mondiale l’inglese Mister Kimpton, selezionatore degli orgogliosi «galli», aveva pescato a piene mani nella seconda divisione francese. Al vertice dell’attacco aveva schierato Jean Nicolas, scaltro opportunista che nella qualificazione aveva segnato caterve di reti al Lussemburgo e proprio in un incontro di preparazione ad Amsterdam s’era reso interprete di una grande performance segnando tre delle cinque reti con le quali i francesi avevano battuto l’Olanda. La Francia giocava già il WM e gli austriaci si trovarono a mal partito fin dall’inizio. Al 19′ poi Nicolas pur relegato all’ala per una testata di Smistik, riuscì a portare in vantaggio i suoi raccogliendo un centro di Keller. Il Wunderteam di Meisl dovette sudare le proverbiali sette camicie per aver ragione del marcamento strettissimo imposto da Mister Kimpton agli attaccanti austriaci. Matias Sindelar riuscì a pareggiare sul finire del primo tempo e solo la disputa dei supplementari suggellò la vittoria dei danubiani con un risicatissimo 3-2 per le reti di Shall in sospetta posizione di fuori gioco, Bican e Verriest.

Gli azzurri batterono agevolmente gli Stati Uniti per 3-1 (3 reti di Schiavio) e le uniche e abbastanza relative sorprese furono determinate dalla eliminazione di Argentina e Brasile che come abbiamo visto s’erano presentate al mondiale con formazioni di scarsa consistenza. Le stesse difficoltà dell’Austria le incontrò la Cecoslovacchia opposta ad una Romania gagliarda e combattiva. I rumeni andarono in vantaggio all’11’ grazie ad una netta superiorità di manovra e solo i grandi interventi di Planika, impedirono l’ulteriore aggravamento della situazione. Nella ripresa l’ardore combattivo dei rumeni andò scemando ed allora Puc e Nejedly riuscirono a ristabilire la giusta gerarchia dei valori in campo. Italia, Cecoslovacchia, Germania, Austria, Spagna, Svizzera, Svezia, e Ungheria hanno superato gli ottavi e la manifestazione entra nel vivo senza il fardello delle formazioni più modeste.

27 magio 1934: Spagna-Brasile 3-1. Tre difensori spagnoli cercano di togliere la palla a un attaccante brasiliano.
27 magio 1934: Spagna-Brasile 3-1. Tre difensori spagnoli cercano di togliere la palla a un attaccante brasiliano.

I quarti prevedono già incontri di fuoco come Austria e Ungheria tradizionale lotta fra danubiani, Cecoslovacchia e Svizzera e Italia – Spagna sfida infuocata fra latini. Ostacolo durissimo la Spagna di Zamora. Le furie rosse ci hanno battuto nel 1930 a Bologna per 3-2 e nell’immediata vigilia del mondiale hanno fatto polpette del Portogallo. Nel confronto degli ottavi con il Brasile di Leonidas, gli spagnoli non hanno avuto difficoltà di sorta. Oltre alla grande esperienza di Zamora e alle qualità combattive di giocatori come Quincoces, Iraragorri, Lafuente, Regueiro e Gorostiza, hanno messo in vetrina un centravanti temibilissimo come Isidro Langara, che con una doppietta perentoria ha piegato la resistenza dei gialloverdi. All’epoca di quella Coppa del Mondo Langara contava appena ventidue anni ed era nel pieno della vigoria fisica; nell’incontro con il Brasile aveva stupito per l’astuzia che coronava adeguatamente il gioco rapido e senza fronzoli dei suoi compagni di linea.

Brutta gatta da pelare questa Spagna per gli azzurri che Pozzo aveva presentato nella seguente formazione: Combi Monzeglio Allemandi, Pizziolo Monti Castellazzi, Guaita Meazza Schiavio Ferrari Orsi. E gli spagnoli: Zamora, Ciriaco Quincoces; Cilaurren Muguerza Fede; Lafuente Iraragorri Langara Regueiro Gorostizia. Gran folla sugli spalti al fischio d’inizio del belga Baert e subito fu chiaro che il gioco maschio e deciso delle difese ben difficilmente avrebbe permesso agli attacchi di pervenire al gol manovrato. Spagna dal gioco rapido con palla scagliata radente e veloce a dettare la manovra e Italia preoccupata a contenere lo slancio dei «rossi» rispondendo con abili fiondate colpo su colpo, iniziativa su iniziativa. Bloccate le due formazioni dal gioco rude dei difensori, scontate le reti che fissarono 1’1-1 dopo la 120′ di lotta gagliarda. Per una entrata scorretta di Allemandi al 31′ punizione di Langara battuta ad effetto e rapida deviazione di Regueiro che inganna Combi; al 44′ stessa situazione nei pressi dell’area iberica e gran botta di Pizziolo alla quale Zamora oppone le mani senza riuscire a deviare; Ferrari si avventa sulla palla ed è lesto ad infilare. Per il resto dell’incontro brividi alterni alle tifoserie per un palo di Langara pareggiato da un bolide di Guaita che si infrange sui legni. E poi Combi ad eguagliare Zamora in bravura e proprio al 119′ dell’aspra contesa un pallone sibilante di Schiavio un dito sopra la traversa.

Combi e Zamora
Combi e Zamora

Niente da fare, si rendeva necessario un altro incontro e ciò favoriva nettamente l’Austria deputata a misurarsi con la vincente fra Spagna e Italia. A ventiquattro ore di distanza nuova kermesse per designare la rappresentante latina degna di continuare il torneo. Pozzo si limitò a quattro innesti: Ferraris IV, Bertolini, Borel e De Maria a sostituire Pizziolo, Castellazzi, Schiavio e Ferrari. La squadra perdeva qualcosa in continuità e stile, ma acquistava compattezza ed aggressività. Più difficile il compito di Garcia Salazar che fu costretto a rivoluzionare i ranghi. Malignamente fu scritto che tale modo d’agire fu imposto da ordini superiori e più pedestramente dal fatto che ì tifosi fiorentini stazionando tutta la notte davanti all’albergo che ospitava gli iberici con trombe e tamburi impedirono agli stanchissimi eroi il sonno che meritavano. Spagna comunque con: Nogues; Zabalo Quincoces; Cilaurren Muguerza Lecue; Vantoirà Regueiro Campanai Chaco Bosch. Sebbene pesantemente rimaneggiati i «rossi» non concessero alcun vantaggio agli azzurri; l’incontro non fu spettacolare come quello del giorno avanti ma le due squadre non si concessero tregua e il risultato rimase in dubbio fino all’ultimo.

La decisiva rete di Meazza alla Spagna
La decisiva rete di Meazza alla Spagna

Gli azzurri erano passati in vantaggio già al 12′ con un perfetto stacco di Meazza ad incornare in rete un calcio d’angolo pennellato da Orsi e ciò faceva presagire una facile soluzione della contesa. Ma non fu così. Gli spagnoli pur menomati per un infortunio all’ala sinistra Bosch seppero moltiplicare le energie provocando brividi di paura ai tifosi quando Regueiro spedì in rete un pallone che l’arbitro Marcet annullò per fuori gioco di posizione. Gli azzurri avrebbero potuto raddoppiare ripetutamente ma la fatica pesava sulla precisione nelle conclusioni e pur con qualche difficoltà passarono alle semifinali meritatamente con il minimo punteggio scaturito dal gol di Meazza.

Gli altri incontri dei quarti furono altrettanto equilibrati anche se non si resero necessari tempi supplementari e ripetizioni. L’Austria riuscì a prevalere sui tradizionali avversari ungheresi dopo una dura battaglia disputata ai limiti della correttezza. Hugo Meisl disse che non si era giocata una partita di calcio ma una baruffa continua fra due squadre che non intendevano prendere la strada di casa. Il Wunderteam guadagnò la vittoria grazie alla migliore prestazione tecnica e al successo dei bianchi contribuì non poco l’eccessivo nervosismo che caratterizzò il comportamento dei magiari che oltre tutto terminarono la contesa menomati nel numero per l’espulsione dell’ala destra Markos. Gli ungheresi avevano battuto l’Egitto negli ottavi, vendicando così l’onta subita a Parigi nel ’24, ma nel corso di quella Coppa del Mondo non riuscirono ad attingere i livelli che poche settimane prima avevano reso possibile una vittoria inequivocabile sull’Inghilterra di Hapgood e Bastin, grazie alla grande prestazione di Stefan Avar e Giorgio Sarosi.

Piana e regolare la vittoria dei tedeschi di Otto Nerz schierati a WM secondo l’ortodosso sistema inglese, con le mezze ali arretrate ed il centromediano Szepan costantemente fra i terzini a marcare il centravanti avversario. Otto Nerz allora Commissario Unico dei tedeschi, e con il quale già collaborava Sepp Herberger, introdusse questo sistema di gioco dopo un lungo viaggio di studio in Inghilterra. Pochi anni più tardi scomparve sul fronte russo nella grande ecatombe del terzo Reich. Pur chiara nell’espressione tecnica la vittoria tedesca fu assai meno netta nel punteggio; 2-1 grazie ad una doppietta della mezzala Hohmann.

Ardente e combattuto l’altro quarto che vedeva impegnate Svizzera e Cecoslovacchia. I rossocrociati imbaldanziti dalla vittoria ottenuta a spese di una ambiziosissima Olanda, si avventarono sulle retrovie cecoslovacche concedendo ai boemi larghissimi spazi. Sfruttando i quali Svoboda Sobotka e Nejedly costruirono le basi di una vittoria sofferta, poiché gli svizzeri riuscirono ad andare in vantaggio e a raggiungere i cechi sul 2-2, ma meritata per la più razionale tattica di gara e per una maggiore caratura dei cechi nei confronti dei compagni di Trello Abegglenn.

Tre scuole a confronto

Austria-Italia e Cecoslovacchia-Germania erano gli accoppiamenti previsti dal sorteggio per le semifinali; il meglio del calcio danubiano rappresentato da Austria e Cecoslovacchia, la Germania che già allora rivelò l’identità di compagine perfettamente tagliata agli sforzi racchiusi in breve spazio di tempo e l’Italia, unica rappresentante latina rimasta in lizza a confermare le virtù di fantasia ed estro tipiche di quella scuola.Quattro nazioni, tre scuole diverse e tre modi distinti nella concezione tattica del gioco. La Germania schierata a WM per la scelta di Otto Nerz che riteneva il «sistema» congeniale ai tedeschi, e quindi orientata sulla strada del progresso. Austria e Cecoslovacchia depositarie del gioco danubiano pre-metodista con la manovra in linea, la fitta ragnatela di corti passaggi ubriacanti e la grande capacità di ricevere la palla; con il centro mediano interpretato alla maniera del grande Kada che appoggiava l’attacco ed il centravanti leader della prima linea, leggermente arretrato per lanciare le mezze ali deputate al gol secondo i canoni introdotti nell’ex-impero asburgico dallo scozzese Madden.

Poi l’Italia che applicava il metodo con le variazioni che derivavano dal magistero «uruguagio»; e cioè centromediano arcigno combattente in fase difensiva e capace di rilanciare il gioco con lunghe fiondate e mezze ali arretrate rispetto la prima linea. Mediani sulle ali e i due terzini liberi da marcature a spazzare l’area e spezzare le trame offensive avversarie. Nel corso del torneo i «rossi» cecoslovacchi avevano trovato qualche difficoltà sia contro i rumeni che con gli svizzeri e questo dato di fatto aveva sorpreso non poco poiché una decina di giorni prima dell’inizio della Coppa del Mondo i cechi erano riusciti a prevalere sull’Inghilterra ben decisa a far dimenticare la sconfitta subita a Budapest una settimana prima.

Ma non ci fu scampo per i bianchi «maestri», Puc e Nejedly implacabili realizzatori di quel periodo fecero impazzire la folla praghese incastonando due bellissime reti nella porta di Moss rimandando a Londra gli inglesi due volte sconfitti. Medesimo trattamento tu riservato ai tedeschi nel corso della semifinale di Coppa. Gli uomini di Otto Nerz, forti di una condizione fisica ottimale non riuscirono ad infrangere la cortina fittissima di manovre messe in opera da Svoboda e compagni. Miracolosamente grazie ad un tiro da lunga distanza di Noack riuscirono a pareggiare al 63′ la rete con la quale Nejedly aveva portato in vantaggio i suoi al 21′. Ma la reazione dei cechi a questo velleitario ritorno fu pronta ed efficace; ancora Nejedly due volte si incuneò nell’area a convertire in rete e sul punteggio di 3-1 terminò la contesa che promosse i cechi a disputare la finale. La nazionale «rossa» del 1934 fu una grande espressione del calcio boemo. Tutta incentrata sulle grandi figure di Slavia e Sparta che facevano il bello e il cattivo tempo nel campionato cecoslovacco e nella Coppa dell’Europa Centrale alla quale partecipavano fino dal 1929 anche le squadre italiane. Da Frantisek Planika, il più popolare calciatore di tutta la storia calcistica di quel paese, capitano dello Slavia e della nazionale, di taglia e di statura normale, dotato di qualità tali che gli permettevano il raffronto con Ricardo Zamora. Il piazzamento e la capacità di bloccare anche i tiri più violenti, accompagnate da una abilità quasi unica nelle uscite sui piedi degli attaccanti lo promuovevano ad eroe delle tifoserie boeme. La coppia di terzini Burger-Ctyroky era la degna continuazione dell’altro famoso duo Alfred Hoyer-Perner. In avanti la manovra dei «rossi» si avvaleva delle grandi capacità di Frank Svoboda, buon tiratore dal fisico resistente ad ogni fatica al centromediano Cambal, modello del grande Kada e poi il brillante Antonin Puc, ala sinistra e interno, vero artista del pallone, rapido e fine palleggiatore, dotato di notevoli capacità realizzative nei tiri piazzati. E poi Oldrich Nejedly, tecnico e opportunista, grande figura dello Sparta che con la tripletta segnata ai tedeschi si assicurò il trofeo per il miglior cannoniere del torneo.

L’altra semifinale fra Italia e Austria si giocò a Milano il 3 Giugno. Fu una partita tiratissima, combattuta sul filo dell’equilibrio e decisa da un gol che molti ritennero irregolare.L’Austria era scesa in Italia «in der Rolle des Favoriten» (nel ruolo di favorita) della Coppa del Mondo. Composta da autentici fuoriclasse era stata definita Wunderteam, squadra-miracolo, in occasione di un incontro giocato a Berlino davanti ai delegati della FIFA riuniti nell’annuale congresso, e vinto in virtù di una superiorità schiacciante per 6-0. L’Austria era stata costruita pezzo su pezzo da quel grande personaggio del calcio continentale che è stato il «Bundeskapitan» Hugo Meisl.

Abbiamo già ricordato che un paio di mesi prima proprio l’Austria ci aveva sconfitto a domicilio, segnalando a Pozzo l’usura del trio difensivo della Juventus Combi-Rosetta-Caligaris. Fu quella l’ultima esibizione della grande coppia di terzini, mentre Combi venne richiamato fra i pali complice una grave frattura ad un braccio di Ceresoli. Pozzo era corso ai ripari innestando in quella difesa che già appariva arcigna un elemento come Allemandi, che nella lotta esaltava le proprie qualità atletiche. L’incontro fu durissimo e spigoloso fra due entità orgogliose e ben decise a non recedere dai propri diritti. Gli azzurri partirono fortissimo sfiorando il gol ripetutamente con Orsi e Schiavio, e al 19′ sfruttando una indecisione di Platzer successiva ad un tiro di Schiavio, Guaita riesce a cacciare in rete la palla. Ma prima dell’intervento decisivo dell’ala azzurra, Meazza cadendo aveva forse ostacolato il portiere austriaco impedendogli il pronto recupero del pallone. Lo svedese Eklind non intervenne e anche per non aver concesso un paio di presunti rigori fu definito dalla stampa viennese “hasenfuss” codardo o vigliacco che dir si voglia.

Posto d'onore per il Wunderteam austriaco, considerata la migliore formazione del Mondiale 1934.
Posto d’onore per il Wunderteam austriaco, considerata la migliore formazione del Mondiale 1934.

L’Italia era scesa in campo con questa formazione: Combi; Monzeglio Allemanda Ferraris IV Monti Bertolini; Guaita Meazza Schiavio Ferrari Orsi e conquistato il vantaggio poggiò le sorti di quella partita sulia robustezza difensiva, non disdegnando di tenere all’erta gli austriaci con le rapide ed incisive incursioni di Orsi, Guaita e Schiavio. Ogni sforzo degli austriaci per agguantare il pareggio fu vano; Smistik si superò nel suo ruolo di centromediano offensivo e Sindelar mise in campo tutta la sua arte per liberare a rete Bican e Schail, ma Combi fu grandissimo in diverse occasioni e proprio sul finire «der Wiener Fussball Idol», toccato dalle rudezze dei nostri difensori fallì una deviazione a portiere battuto che avrebbe ristabilito il pareggio. Fu quello il canto del cigno del Wunderteam, che vogliamo ricordare nella formazione di quella drammatica contesa: Platzer; Cisar Sesta; Wagner Smistik Urbanek; Zischek Bican Sindelar Schail Viertl. Quattro giorni dopo, demoralizzata e rassegnata, l’Austria priva di Sindelar, fu sconfitta a Napoli dalla Germania nella finale peril terzo posto; così la migliore squadra del torneo finì quarta.

La Finale

La rete di Puc per il vantaggio ceco
La rete di Puc per il vantaggio ceco

Italia e Cecoslovacchia dunque a disputarsi la preziosa statuetta d’oro allo Stadio Nazionale dì Roma il 10 giugno. Cecoslovacchi con: Planika; Zenisek Ctyroky; Kostalek Cambal Krcil; Junek Svoboda Sobotka Neyedly Puc e azzurri confermati nella formazione che aveva battuto l’Austria, con Ferraris IV mediano nell’inquadratura che nella seconda partita con la Spagna aveva dato a Pozzo la certezza di aver trovato una pattuglia battagliera e volitiva, ben decisa a conquistare la vittoria a costo di ogni sacrificio atletico. Ancora una volta gli italiani partivano battuti dal pronostico della grande stampa che assegnava allo squadrone boemo un tasso di classe nettamente superiore. Hugo Meisl, che solitamente diceva «il calcio è il mio pane» era più cauto nel prevedere il risultato, ma sottolineava la grande condizione che i «rossi» erano venuti acquistando nel corso del torneo.

Planicka battuto da Orsi: si corre ai supplementari
Planicka battuto da Orsi: si corre ai supplementari

Il primo tempo terminò a reti inviolate, gli azzurri stranamente innervositi e impacciati, quasi timorosi di fronte al traguardo più importante. Planika aveva sfoderato tutta la sua classe per impedire ad un paio di palloni di Meazza e Schiavio il fondo della rete e la sicurezza dell’estremo difensore rese ancor più precaria la consistenza morale dei nostri ai quali tutto appariva in quei momenti estremamente difficile. Al 71′ le cose si complicarono ulteriormente, poiché i cechi che per tutta la partita mantennero una olimpica tranquillità, passarono in vantaggio con una diabolica palla tagliata di Puc, scagliata dalla posizione d’ala.

Pozzo catechizza i suoi, da sinistra Monzeglio, Bertolini e Combi
Pozzo catechizza i suoi, da sinistra Monzeglio, Bertolini e Combi

Paradossalmente fu l’episodio che scrollò l’apatia degli azzurri, il nervosismo sparì d’incanto lasciando spazio ad una squadra che con il passare dei minuti, ricomponeva le sue file e ritrovava la misura nelle manovre offensive. Schiavio sfinito andò ad occupare la posizione d’ala e Guaita passò al centro, Pozzo si portò dietro la rete boema per incitare i suoi alla voce e undici minuti dopo il pareggio era cosa fatta grazie ad un tiro a mezz’altezza di Orsi, battuto da una ventina di metri e che Planika non riuscì nemmeno a sfiorare. Al 5′ della prima frazione supplementare Angiolino Schiavio produsse l’ultimo guizzo della sua carriera azzurra e a coronamento di una manovra ispirata da Ferrari per Orsi, la palla smistata a Guaita fu spedita al centro dove il bolognese la scagliò alle spalle di Planika da sette-otto metri. Fu una mazzata che i cechi non s’attendevano visto il maggior logorio cui erano stati costretti gli italiani, un colpo da KO decisivo per il morale di quella grande squadra che non riuscì a ripetere le manovre ubriacanti che nel corso della prima ora di gioco avevano tenuto in soggezione i padroni di casa.

Al 95' è Schiavo che sorprende ancora Planicka per il 2-1 finale
Al 95′ è Schiavo che sorprende ancora Planicka per il 2-1 finale

Nel giudizio complessivo sulla vittoria dell’Italia si scatenò una violenta caccia alle streghe. Specialmente la stampa francese parlò di intollerabile atmosfera che aveva condizionato l’operato degli arbitri, di fantomatiche pressioni sulle ambasciate per piegare le velleità degli avversari deputati ad incontrare gli azzurri.Certo al di là delle tesi dei transalpini la seconda edizione della Coppa del Mondo confermò la necessità di tutelare almeno fino ad un certo punto la rappresentativa di casa per ragioni comprensibili di cassetta. E questo cinico realismo si è ripetuto in forma più o meno vistosa ad ogni edizione di Coppa del Mondo. Comunque ci sembra importante sottolineare che se qualche favoritismo concorse al trionfo degli azzurri, non si trattò certamente di agevolazioni in sede di sorteggio. Per vincere il titolo non si avvantaggiarono con alcun accoppiamento di comodo, come è più volte successo in seguito. Austria Spagna e Cecoslovacchia godevano in quel periodo di grande reputazione e gli italiani dovettero soffrire parecchio per averne ragione, la strada di altre formazioni Cecoslovacchia compresa fu certo più agevole.

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934
Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana – 10 giugno 1934

Al termine della competizione un giornale specializzato pubblicò la formazione ideale del mondiale. Eccola di seguito: Zamora (Spagna); Monzeglio (Italia) Quincoces (Spagna); Ferraris IV (Italia) Smisti (Austria) Lecue (Spagna); Lafuente (Spagna) Meazza (Italia) Langara (Spagna) Neyedly (Cecoslovacchia) Orsi (Italia). Indicò anche i migliori cinque elementi per ruolo ed è significativo il fatto che tutti gli italiani fossero compresi in tale graduatoria. Combi e Monti erano terzi alle spalle di Planika e Muguerza, Allemandi secondo, Schiavio terzo dietro Sindelar, Guaita secondo. Un riconoscimento ulteriore al buon lavoro di Pozzo e ad una squadra che giocava il metodo, cioè mediani sulle ali e terzini alle spalle, l’uno a spazzare, Monzeglio, l’altro a contrastare e a battere lontano l’insidia, Allemandi. Fu una coppia efficace e decisa, chiusa alle spalle dal freddo e continuo Combi, coraggioso e deciso in ogni frangente. Con la linea mediana, Ferrari IV; Monti, Bertolini, l’intero reparto arretrato appariva come un campo minato, dove era assai difficile e pericoloso avventurarsi, un vero e proprio bunker composto da giocatori aggressivi e decisi. L’attacco si avvaleva del genio di Peppin Meazza, un grande di tutta la storia calcistica italiana, coordinatore del gioco, fantasioso, intelligente, nato come centravanti e quindi anche dotato di notevoli capacità di stoccatore. Ferrari l’altra mezzala era lento ma razionale e metodico, preciso nel dettare la manovra. Al centro Angiolino Schiavio, strenuo combattente, mai domo, tutto cuore e volontà sempre in attesa della palla favorevole e sulle fasce Orsi e Guaita, l’uno classico esponente della scuola argentina, furbo, opportunista grande palleggiatore, l’altro più potente giocava leggermente arretrato e scatenava lunghe fughe palla al piede che si concludevano immancabilmente con un tiro violento e preciso. L’organizzazione fu perfetta e ad essa arrise un notevole successo finanziario, i numerati per la finale costavano cento lire del tempo. Ogni azzurro ebbe in premio 20.000 lire: a quei tempi si poteva acquistare un appartamento a Milano…

Primo mondiale di Calcio della nazionale italiana - 10 giugno 1934
L’Italia campione del Mondo!