Secondo mondiale di Calcio della nazionale italiana – XIX giugno MCMXXXVIII

Assenti grandi nazionali come Inghilterra, Uruguay, Austria e Argentina toccò ai brasiliani, in semifinale, il compito di rompere lo strapotere italiano. Ma i sudamericani schierando le riserve spalancarono all’Italia le porte della finale.

In un Europa sconvolta da drammatici contrasti politici che culmineranno un paio d’anni piú tardi nei fulmini terribili della conflagrazione si svolge la terza edizione della Coppa del Mondo. E i fuochi della guerra incidono già sulla partecipazione di nazioni come la Spagna, avvolta nel dramma della Guerra Civile e dell’Austria, fagocitata nell’Anschluss, ossia l’annessione al terzo Reich nazista. I delegati della FIFA convenuti a Berlino nel ’36, in occasione del torneo Olimpico vinto clamorosamente dall’Italia, non tennero alcun conto della mozione che stabiliva la designazione quadriennale alternata fra Europa e Sudamerica. Risposero picche alle profferte argentine e in ossequio ai meriti di grandi dirigenti come Jules Rimet, Henry Delaunay e Robert Guerin assegnarono l’organizzazione della Coppa alla Federazione francese. La doverosa designazione sottolinea i meriti dei francesi nella costituzione della FIFA prima e nella resistenza agli intrighi britannici per volgere a loro vantaggio la politica Informatrice della Confederazione.

E’ una Francia in piena crisi istituzionale quella che organizza la Coppa del Mondo. Le sinistre hanno gestito il potere per un paio d’anni con il fronte popolare di Leon Blum, Camille Chautemps ed Edmond Daladier, l’economia è in crisi e proprio il «gabinetto» Daladier sarà costretto a chiedere i pieni poteri per riassestarne le strutture. Si moltiplicano i trattati, si stabiliscono alleanze per arginare la politica espansionistica del nazionalsocialismo tedesco, ma dopo l’annessione dell’Austria, Hitler assume in proprio il ministero delle Forze Armate e volge le sue mire ai Sudeti inducendo la Cecoslovacchia alla mobilitazione. La Gran Bretagna ha riconosciuto la sovranità italiana sull’Abissinia e Mussolini si è impegnato a ritirare i volontari italiani dalla Guerra Civile spagnola. Hitler è in Italia nei primi giorni di maggio in cerca di alleanze, ma non ottiene nulla di importante. I prodromi della guerra sono già presenti e minacciosi nella realtà del vecchio continente, ma ciò non impedisce ai francesi di organizzare la manifestazione al livello delle precedenti e alle folle di accorrere in gran numero al richiamo degli incontri.

Per la prima volta è introdotto il principio in base al quale il paese organizzatore e il detentore del titolo vengano esentati da qualsiasi impegno di qualificazione, Francia e Italia quindi accedono alla fase finale senza colpo ferire. Per il resto le 13 Federazioni che aderiscono alla competizione affrontano i turni eliminatori senza dar luogo ad eliminazioni di rilievo. La partecipazione americana è notevolmente assottigliata, solo Brasile e Cuba hanno affrontato il viaggio. C’è la novità delle Indie Olandesi, prima rappresentante asiatica a rappresentare l’assurdo fenomeno che privilegia nazioni tecnicamente inconsistenti a danno di altre costrette a scannarsi fra di loro per conquistare un posto.

Jules Rimet presenzia all’estrazione dei gironi mondiali
Jules Rimet presenzia all’estrazione dei gironi mondiali

L’Inghilterra continua la sua guerra a distanza con la FIFA, l’Argentina non partecipa per dissapori con la federazione brasiliana ma soprattutto per il rifiuto della designazione come organizzatrice. L’Uruguay rimane fedele al comportamento di rappresaglia assunto nel ’34. Sono defezioni importanti, che portano acqua al mulino di quanti combattono la Coppa del Mondo, e ridimensionano il valore tecnico del titolo pur tenendo conto che gli assenti hanno sempre torto. L’Uruguay stava ristrutturando la propria rappresentativa. Non disponeva di una grossa nazionale e lo testimoniano i risultati piuttosto mediocri di quel periodo, ma poteva schierare comunque un manipolo di campioni come Porta, Ciocca, Zapirain, Severino Varela e quell’Afillo Garda che debuttò proprio nel ’38 nel Nacional e che diverrà in seguito il massimo «goleador» di tutta la storia calcistica uruguagia.

In Argentina era il periodo dei grandi centravanti come Ferreyra ed Masantonio e di giocatori come Pedernera, Moreno, Sastre, Lazzati, Zozaya, che hanno illustrato con le loro gesta tutta un’epoca del calcio «portenho». L’assenza delle rappresentative britanniche pesava notevolmente sul prestigio della Coppa del Mondo. L’Inghilterra rimaneva la pietra di paragone per eccellenza in quel periodo e anche la Scozia, che in quel 1938 l’aveva battuta nell’Home Championship, avrebbe dato lustro ad una competizione che nata quasi per scommessa, era giunta alla terza edizione e si era conquistata uno spazio che si faceva di quadriennio in quadriennio sempre più importante. Convinti di poter disporre di «a very superior team» gli inglesi davano sfogo alla loro proverbiale superbia, ma il ruolo di prima potenza calcistica gli era riconosciuto un poco da tutti, invischiati com’erano in una specie di «inferiority complex» che avrà fine solamente dopo la grande lezione ungherese del ’53.

E’ presente comunque il Brasile e questa volta con una formazione agguerrita che ha tenuto conto della lezione del 1934. La CBD si è affidata a Carlito Rocha e Luis Vinhaes sollecitando gli incaricati a considerare attentamente l’esperienza precedente. Come abbiamo già visto l’introduzione del professionismo nel ’33 aveva innescato una situazione perversa, propiziatrice della fuga dei grandi talenti verso lidi più remunerativi e di continue scissioni, con la conseguente disputa di diversi tornei di pari valore in ogni stato. Con la rimozione dei vecchi contrasti la CBD aveva reintegrato il proprio ruolo egemone ed unificato tutte le forze.

La partecipazione alla Coppa del Mondo era il banco di prova della raggiunta maturità e non si può negare un certo successo a chi in precedenza aveva così clamorosamente deluso pur tenendo conto che gli obiettivi di partenza riguardavano unicamente la conquista della prestigiosa statuetta. La selezione brasiliana era composta da una schiera di autentici campioni del Flamengo e del Fluminense come Batatais, Tim, Hercules, Romeo Pellicciari, Dommgos da Guia, Peracio e Leonidas da Silva. Completavano l’organico elementi come il capitano Zezé Procopio, il mediano Brandao e «Niginho» Fantoni che aveva giocato nella Lazio e che non potè disputare quei mondiali perché una disposizione regolamentare vietava ad un calciatore utilizzato in altra nazionale, di rigiocare per la rappresentativa d’origine.

Era comunque una grossa nazionale quella brasiliana formata sull’esperienza del campionato Sudamericano del ’37, al quale la CBD aveva partecipato dopo aver ricomposto i dissidi con la consorella argentina. Disputato in Buenos Aires, la XI Coppa Americana diede modo ad Ademar Pimenta di formare un nucleo di campioni che verrà, poi completato più avanti con l’innesto di Leonidas da Silva e Domingos da Guia che erano certamente i professionisti meglio pagati di tutto il Sudamerica. Dell’esperienza del ’34 Pimenta tenne conto soprattutto in riferimento a quella che per lui era la fondamentale ragione della superiorità degli europei: l’efficacia e la decisione negli interventi difensivi. Dedicò cure particolari a questa faccia del problema e ne vedremo più avanti i risultati.

Il Brasile schierato prima del leggendario incontro contro la Polonia

Solida e compatta la rappresentanza europea. A gironi eliminatori già terminati e con la qualificazione ormai assicurata il 12 Aprile 1938, la Federazione austriaca annunciava la sua rinuncia, scaturita come abbiamo visto dall’Anschluss. I migliori giocatori austriaci verranno utilizzati da Herberger per la rappresentativa del grande Reich. Assente la Spagna, che tanto duramente aveva impegnato gli azzurri nel ’34; la tragedia della Guerra Civile ha cancellato ogni attività sportiva. Ancora assente la Jugoslavia, inaspettatamente eliminata da Polonia e Norvegia, Ungheria, Cecoslovacchia e Germania venivano indicate come le rappresentative più attrezzate per contendere agli azzurri la conquista del titolo.

L’Ungheria godeva di grande reputazione in seguito ai risultati che nel ’37 avevano richiamato l’attenzione dei tecnici specializzati. Uscita con onore in sede di «quarti», sconfitta dall’Austria di Sindelar nel ’34 a Bologna, l’Ungheria era tornata a livelli degni della sua tradizione, tanto da prendersi nel ’35 una solenne rivincita sui rivali di sempre, vincendo a Budapest 6-3 con 3 reti di «Giurka» Sarosi. In Coppa Internazionale (1933/35), si piazzò seconda a pari punteggio con l’Austria, alle spalle dell’Italia, assurta al rango di vera e propria bestia nera dei magiari. Perdeva regolarmente dagli azzurri, ma ciò non impediva al Commissario Unico Karoly Dietz ambizioni più che legittime. Disponeva di una schiera di assi di notevole prestigio come Sarosi e Toldi del Ferencvaros, Sas, Titkos e Cseh dell’Hungaria, Vincze e Zsengeller dell’Ujpest e Vili Kouth, che allora giocava nell’Olimpique di Marsiglia.

Karoly Dietz ricopriva l’incarico di selezionatore fin dal ’34 ed aveva un solo obbiettivo: la conquista della Coppa, e al raggiungimento di tale meta rivolgeva ogni sforzo possibile, per rivendicare al calcio magiaro quella supremazia che a suo parere meritava più di ogni altro. Ma l’euforia delle vittorie sull’Austria nel ’36 (5-3 sia a Vienna che a Budapest), venne bruscamente interrotta da una doppia sconfitta a Praga (5-2) e a Londra (2-6) con una tripletta di Ted Drake. Il trillo d’allarme fu immediatamente recepito e Dietz, secondo il principio in base al quale, chi dispone di talenti deve impegnarli, diede vita a quello che divenne poi il “trust dei cervelli”. Composto dal classico Giorgio Sarosi, dal geniale Laszlo Cseh e dal fromboliere Gyula Zsengeller lasciò un grande ricordo per la clamorosa vittoria di Praga nel Settembre 1937. 8-3 il punteggio di quell’incontro con il grande Sarosi ad infliggere 7 reti al leggendario Planika. La preparazione al mondiale era stata attenta e il risultato della qualificazione soddisfacente (11-1 alla Grecia). La grande conquista era a portata di mano.

Cecoslovacchia-Olanda 3-0 I capitani Van Heel e Planicka

La nazionale Cecoslovacca era in piena evoluzione dopo l’inattesa sconfitta ad opera dell’Italia nella finale di Roma. Penultima nella Coppa Internazionale terminata nel ’35, la selezione boema era stata sottoposta ad un processo di rinnovamento teso a rimpiazzare quei giocatori ormai in età avanzata. Antonin Puc ad esempio, prestigiosa ala dello Slavia, primatista delle reti in nazionale farà una sola apparizione nel mondiale in favore del più giovane Rulc. I terzini Zenisek e Vtyroky erano stati sostituiti con Burger e Daucik e la linea mediana era ancora fortissima composta da Kostalek e Boucek che già avevano giocato in Italia e completata da Kopecky dello Slavia. In attacco resisteva il solo Olda Neyedly ormai trentunenne, in grazia della grande classe di cui madre natura lo aveva dotato, e la ragnatela tipicamente boema era affidata alle giovani leve dei due squadroni praghesi. Fra i pali ancora il grande Planika e la partita dei «quarti» contro il Brasile sarà la sua ultima apparizione con la maglia della nazionale boema. La sconfitta del ’37 ad opera dei magiari (3-8) ed un altro rovescio subito a Basilea (0-4) ad opera della Svizzera di Amadò che già aveva assunto lo schieramento a «verrou», aveva ridimensionato la caratura boema, ma l’1 dicembre del ’37 i «rossi» erano andati a Londra ad incontrare i «maestri». Era finita 5-4 per i padroni di casa, ma i cechi con una grande prestazione avevano rivendicato il ruolo di grande potenza calcistica e Neyedly e Puc erano stati osannati quali autentici maghi del pallone. Questo risultato con la risaputa capacità di concentrazione dei boemi nei momenti decisivi ne aveva rivalutato la reputazione e anche i boemi erano attesi in Francia con enorme interesse.

Si cominciò con risultati inaspettati e clamorosi. La Svizzera attestata sulla difensiva e dotata dell’impla- cabile arma del contropiede sbatté fuori in malo modo la Germania. Come abbiamo visto la Svizzera era già disposta a catenaccio e tale tattica di gioco era stata introdotta dal tecnico austriaco Rappan che allenava il Servette di Ginevra. La formazione germanica allestita dal giovane Sepp Herberger che poche settimane prima aveva rimpiazzato il Dott. Nerz, cercava di conciliare la tecnica spumeggiante dei selezionati austriaci con la forza atletica, tradizionale caratteristica dei giocatori di ceppo tedesco. Il tentativo di fondere due scuole diverse diede vita ad un complesso eterogeneo, povero di personalità, che fu brutalmente spazzato via dalla manovra tagliente ed incisiva degli elvetici. Il primo incontro terminato in pareggio (1-1) ebbe una replica 5 giorni dopo. Herberger aveva limitato la presenza austriaca a tre soli elementi (Raftl, portiere; Hahnemann centravanti; Stroh interno) ma i risultati furono gli stessi. Gioco confuso, lento, involuto e per contro rossocrociati in gran spolvero, guidati dalla grande personalità di Trello Abegglen verso l’importante vittoria.

Anche la Romania di Juliu Bodola uscì per la tangente battuta dall’inedita rappresentativa cubana. Gran lotta nel primo incontro e pareggio per 3-3; nella ripetizione i centro-americani riuscirono a prevalere dando luogo ad un precedente che in futuro ci toccherà molto da vicino. Più facile del previsto la vittoria della Francia padrona di casa sui belgi che schieravano Raymond Braine al centro dell’attacco. Alla vigilia i francesi temevano la caratura dei belgi, li preoccupava il salto di qualità che aveva permesso ai belgi una franca vittoria sui maestri inglesi. Raymond Braine che quando giocava nello Sparta era stato definito «dei fussball fuhrer» aveva miracolato i «diavoli rossi» e Barreau, selezionatore dei «galli» temeva questo primo ostacolo sulla strada di una affermazione che egli riteneva possibile tenendo conto di quanto era successo a Montevideo e a Roma. Due gol di Nicolas, uno di Veinante, l’esperienza ormai trimondiale di Delfour e Mattler cancellarono ogni apprensione lasciando intravedere qualche difficoltà per i nostri azzurri deputati ad incontrare i padroni di casa in sede di «quarti». La buona vena del Brasile è sottoposta ad un probante collaudo. Il sorteggio ha indicato la Polonia quale inedita avversaria per i gialloverdi ed i riferimenti per valutare la consistenza dei polacchi sono scarni e scarsamente indicativi.

Brasile-Polonia 6-5 Leonidas batte il portiere polacco Edward Madejski

É un incontro caratterizzato da condizioni atmosferiche piuttosto capricciose. All’inizio il tempo è buono, il terreno soffice e il Brasile non tarda ad evidenziare la propria superiorità andando a rete con disinvoltura. La prima frazione termina 3-1 e Leonidas esalta il pubblico con un campionario di prodezze che lascia allibiti. Sembra già tutto deciso, ma un improvviso temporale infradicia il terreno di gioco e nella ripresa i polacchi riescono a far prevalere la consistenza fisica e l’abitudine a correre e manovrare sul terreno impregnato ai pioggia. L’arbitro Eklind negò ai brasiliani la possibilità di giocare a piedi nudi e i polacchi con le prodezze di Ernest Willimowski riuscirono ad eguagliare in bravura i sudamericani, fissando il punteggio dei tempi regolamentari sul 4-4. Intanto era tornato il sole e Leonidas riportò avanti i suoi ristabilendo il vantaggio al 94′, ma Willimowski, un implacabile «goleador» che si esaltava nella lotta nel giro di dieci minuti riuscì a riportare in pareggio i suoi. Decisiva fu l’ultima perla del «diamante negro» al 114′ e dopo due ore di entusiasmante battaglia la partita si chiuse 6-5 in favore dei brasiliani. Leonidas già famoso diede in quella occasione un saggio delle sue capacità, e fu eguagliato in bravura da un illustre sconosciuto di caratteristiche completamente diverse dalle sue.

Ernest Willimowski era un gigante biondo, solido e possente, combattente meraviglioso, capace di scardinare le difes in virtù di una taglia atletica considerevole. Giocava in nazionale dal ’34 come interno sinistro e proveniva dalle file del Ruch Chorzov. Mise a segno 21 reti nelle 21 partite disputate con la maglia del suo paese e si confermò formidabile realizzatore anche nella rappresentativa del Reich, quando Hitler con le sue armate fagocitò la libertà della Polonia. Con la maglia dell’aquila germanica, accanto a giocatori come «Bimbo» Binder, Fritz Walter, Helmut Schoen, Willimowski dimostrò tutte le sue capacità di «goleador» segnando 13 reti nelle otto apparizioni collezionate. Un grande attaccante che senza la tragedia della guerra avrebbe certamente riempito con le sue gesta le gazzette sportive del continente e portato la sua Polonia a risultati stupefacenti. Anche la Cecoslovacchia fu costretta ai supplementari dalla strenua resistenza olandese. Solo l’ultima mezz’ora fu decisiva e i cechi segnarono tre reti sfruttando appieno il vantaggio numerico derivato dall’infortunio dell’olandese Van Heel.

Cuba Romania i capitani Chorens e Rasinaru. Cuba prevalse a sorpresa nella ripetizione del match

Difficoltà consistenti incontrarono gli azzurri partiti nel mondiale con i favori del pronostico, in virtù del titolo conquistato a Roma, della vittoria alle Olimpiadi di Berlino, e dall’imbattibilità che durava dal 4 Novembre 1935 protrattasi per 18 incontri. Lo scetticismo che aveva accolto la validità tecnica della vittoria di Roma era stato cancellato dalle continue vittorie azzurre, dalle imprese di una squadra che pur ricostruita per otto/undicesimi aveva confermato la buona levatura del vivaio italiano. La Norvegia non era accreditata di grandi possibilità, ma giocava un calcio matrice inglese, veloce, solido, in virtù di una prestanza atletica piuttosto consistente. Sulla fascia sinistra schierava un lungagnone ventiseienne, scuro di capelli, veloce e rapido nei tiro a rete: Arne Brustad del Lynn di Oslo, che già si era fatto ammirare alle Olimpiadi di Berlino dove aveva segnato 5 gol in 3 partite.

Italia-Norvegia caccia alla monetina prima della partita

I norvegesi marcavano da presso i nostri, giocavano d’anticipo ed entrati in possesso di palla scagliavano fiondate a pelo d’erba sulle fasce laterali dove le ali erano prontissime allo scatto. In tal modo i mediani azzurri Serantoni e Locatelli, che erano deputati al marcamento delle ali furono costretti a tamponare e quindi a limitare il rifornimento all’attacco e tutta la manovra subì danni i irreparabili. Gli azzurri, passati in vantaggio in apertura con Pietro Ferraris che spedì in rete una corta respinta del portiere, successiva ad un tiro di Ferrari, furono raggiunti in chiusura da Brustad. Un paio di minuti dopo il norvegese ripeté l’impresa ma fortunatamente Beranek annullò per fuorigioco. Si resero necessari i supplementari e fu Piola a fissare il vantaggio dei nostri sul 2-1 racco-gliendo una corta respinta del portiere su tiro di Pasinati. Con Olivieri migliore in campo per le formidabili parate sui tiri degli insidiosi norvegesi, l’Italia aveva superato gli ottavi grazie al valore dei singoli.

Gli azzurri erano scesi in campo così allineati: Olivieri; Monzeglio Rava; Serantoni Andreolo Locatelli; Pasinati Meazza Piola Ferrari Ferraris II. I reduci del ’34 erano Eraldo Monzeglio alla sua ultima apparizione in azzurro, Peppin Meazza e Gioanin Ferrari. Nella costruzione della squadra Pozzo si era attenuto al canovaccio conosciuto. Gli ultimi anni trenta coincisero con il periodo di massimo splendore del metodo, il vivaio produceva autentici campioni, e sfruttando al massimo queste componenti positive Pozzo riuscì a plasmare un capolavoro di razionalità. Una squadra fortissima sul piano tecnico, atleticamente preparata, ricca di individualità di grande prestigio come Meazza e Ferrari che erano fra i migliori d’Europa, Silvio Piola centravanti acrobatico dal tiro folgorante, capace di colpire al volo e scaraventare in rete qualsiasi palla, e poi Andreolo, di scuola uruguagia, meno potente di Monti ma più mobile e agile, efficace nel gioco aereo e nel rilancio. Fra i pali Olivieri, un grande portiere che nella partita con la Norvegia salvò da solo una squadra che sembrava destinata al naufragio. E con Monzeglio giunto al passo d’addio erano pronti Foni e Rava, i terzini di Berlino, l’uno classico e temporeggiatore come lo era stato Rosetta, l’altro atletico e potente, forte di testa. Ai lati di Andreolo c’erano l’instancabile Serantoni e l’elegante Locatelli e sulla fasce, deputate al cross per l’ariete Piola, Pasinati e Ferraris II nell’incontro con la Norvegia ed in seguito l’eclettico Biavati ed il guizzante Colaussi.

Sulla strada degli azzurri si stagliava ora una Francia ambiziosa, caricata dalla facile vittoria sul Belgio e confermata con: Di Lorto; Mattler Cazenave; Bastien Jordan Diagne; Aston Heisserer J. Nicolas Delfour e Veinante. Italiani nella formazione che giocherà tutti gli incontri rimanenti: Olivieri; Foni Rava; Serantoni Andreolo Locatelli; Biavati Meazza; Piola Ferrari e Colaussi. C’era il «tout Paris» sugli spalti, 60.000 spettatori e la rappresentanza italiana era piuttosto esigua, arbitro il belga Baert che alle cinque precise diede il via alle ostilità. Sette mesi prima, stesso teatro, Laurent Di Lorto era stato l’eroe di un pareggio a reti bianche che aveva fermato i lanciatissimi azzurri. Ma il clima di Coppa ha forse intaccato la sua sicurezza e al 9′ si fa infilare da una innocua centrata di Colaussi. Non passa un minuto ed Heisserer incredibilmente libero in area italiana può agevolmente battere Olivieri. Dieci minuti, due gol, latente nervosismo in campo con i transalpini che accelerano il ritmo del gioco e gli azzurri che pagano forse lo «stress» dell’incontro con la Norvegia. Ma il gioco di Veinante ed Heisserer, troppo rapido, crea confusione nelle file dei «galli» che premono senza efficacia nel mentre Andreolo e Meazza crescono di tono e cominciano a dominare il centrocampo. L’oriundo riporta calma e razionalità, lucidità e precisione.

La seconda rete di Piola nel quarto di finale contro i padroni di casa

Meazza arma il controgioco e quando gli azzurri rientrano in campo per la ripresa la superiorità dei nostri si trasforma subito in cifra. Azione a schema classico di quella grande squadra; è il 6′, Ferrari lancia sulla destra verso Biavati, fuga veloce dell’ala e centro a mezz’altezza. Irrompe in corsa Piola e di destro al volo infilza imparabilmente Di Lorto. 27′: trama azzurra Piola-Colaussi-Biavati, veloce sgroppata dell’ala e centro basso che Piola colpisce in tuffo di testa battendo imparabilmente il portiere transalpino. Vittoria netta e meritata e ritrovata efficienza della squadra che attende ora con interesse il risultato dell’incontro fra il temutissimo Brasile e la Cecoslovacchia.

Brasile Cecoslovacchia durissimo doppio incontro che vede prevalere i brasiliani. Il ceco Nejedly gioca per più di un ora con un piede fratturato

A Bordeaux patria del rugby francese, Brasile e Cecoslovacchia ne combinano di tutti i colori. Difendono ferocemente il loro diritto a proseguire nella competizione anche quando i risvolti della partita si fanno drammatici. Agli ordini del magiaro Hertzke le squadre s’erano così schierate: Walter; Domingos da Guia, Machado; Zezé Procopio, Martim Alfonsinho; Lopez Romeo Leonidas Peracho Hercules, e i cechi: Pianika; Burger Daucik; Kostalek Boucek Kopecky; Riha Simunek; Ludy Neyedly Puc. I sudamericani mal sopportano la stretta guardia cui sono sottoposti dai boemi e le scintille del nervosismo non tardano ad affiorare e a provocare più di una rissa. Al 12′ Zezé Procopio e Machado intervengono duramente su Neyedly e gli procurano una frattura al piede destro. Zezé è richiamato dall’arbitro e perde il controllo dei nervi. Fuori. Al 30′ Leonidas inventa il gol e riesce a portare in vantaggio i suoi, ma pochi minuti prima dell’intervallo Machado e Riha si esibiscono in un lungo pugilato. Espulsi entrambi.

La ripresa è ancora più dura e scorbutica, brasiliani e cechi si affrontano ben al di là del regolamento che l’arbitro è incapace di far rispettare. Leonidas e Peracho risultano lesionati ma possono rimanere in campo, Planika purtroppo deve ricorrere all’ospedale dove gli viene ricomposta una frattura ad un braccio e Neyedly dopo aver resistito stoicamente per quasi un’ora ed aver segnato su rigore il gol del pareggio (63′) guadagna a sua volta la via dell’ospedale. Pur ridotti a sette uomini validi, Kostalek è stato colpito al basso ventre e si regge in piedi a fatica, i cechi riescono a mantenere inalterato il punteggio di fronte ai brasiliani superiori di numero ma ugualmente ridotti a malparato.

Per la ripetizione Ademar Pimenta può agevolmente sostituire nove uomini confermando solamente il portiere Walter ed il fuoriclasse Leonidas. I cechi invece perdono di consistenza e devono rinunciare a uomini come Planika, Neyedly e Puc. Nonostante tutto riescono a passare in vantaggio con una bella rete di Kopecky ma poi nella ripresa sono costretti a cedere alla maggior freschezza dei brasiliani che pervengono al successo con il solito Leonidas e con Roberto. Saranno dunque i brasiliani ad incontrare i campioni del mondo in carica e Pimenta vede già balenare l’oro della Coppa.

Dall’altra parte del tabellone Ungheria e Svezia hanno avuto un cammino più facile e regolare. I magiari si sono sbarazzati agevolmente delle Indie Olandesi e hanno regolato con il classico punteggio (2-0) le velleità degli Svizzeri con una doppietta di Gyula Szengeller. La Svezia superato il primo turno per il «forfait» austriaco ha sbattuto fuori Cuba con un punteggio (8-0) che non ammette discussioni. Italia e Brasile, Ungheria e Svezia si disputeranno dunque l’accesso alla finale. L’attesa è febbrile e i francesi danno prova di una meravigliosa maturità sportiva. La loro rappresentativa è fuori irrimediabilmente battuta ma con spirito sportivo seguono appassionatamente le fasi finali della competizione.

A Marsiglia dove gli azzurri si portano per incontrare il Brasile sono presenti 40.000 spettatori e 5.000 rimangono fuori dai cancelli. Al solito il pubblico parteggia per i sudamericani, si sprecano le urla all’indirizzo dei nostri infiorate di «macaroni» ed altre amenità varie, ma questo vantaggio non basta ai brasiliani. La presunzione gioca un brutto tiro ad Ademar Pimenta. E’ talmente sicuro del fatto suo, che non solo prenota l’unico aereo che da Marsiglia volerà a Parigi in vista della finalissima, ma giudicando l’incontro alla stregua di una formalità decide di concedere un turno di riposo al fuoriclasse Leonidas e al funambolo Tim. E’ una mossa suicida per i gialloverdi che sono scesi in campo con: Walter; Domingos da Guia Machado; Zezé Procopio, Martini, Alfonsinho; Lopez Luisinho Peracho, Romeo Patesko.

Silvio Piola protagonista nella semifinale di Marsiglia

L’indefinibile gazzarra inscenata all’ingresso degli azzurri non ebbe alcun riscontro sui nervi dei nostri. Confermata la formazione che aveva eliminato i «galli» i nostri mantennero sangue freddo e lucidità, lasciando manovrare i brasiliani con i loro eleganti arabeschi, vuoti dell’efficacia necessaria alla ricerca del vantaggio. Nella prima frazione i «gialloverdi» mantennero l’iniziativa, ma raramente si fecero pericolosi. Per contro gli italiani rispondevano in contropiede, ma le marcature attente dei sudamericani (Domingos su Piola) impedirono ai nostri di passare. In apertura di ripresa il gioco d’attacco dei nostri si fece più preciso ed insistente e nel giro di 4′ gli azzurri riuscirono a scardinare il dispositivo difensivo brasiliano. AI 56′ Colaussi ricevuta la palla da Piola la scaraventò in rete da circa venti metri e al 60′ il centravanti azzurro fu messo a terra senza complimenti dal suo angelo custode ed il successivo rigore fu realizzato freddamente da Meazza. Sul finire Romeo Pellicciari riuscì a dimezzare le distanze sfruttando una mischia in area azzurra ma i nostri non corsero ulteriore pericolo e controllarono agevolmente gli ultimi minuti della partita che assicurava l’accesso alla finale.

L’altra semifinale si giocò a Parigi e la Svezia ancora ricca di energie costituì un banco di prova abbastanza impegnativo per i magiari. Passati in vantaggio con Nyberg gli scandinavi si illusero di avere in mano la partita. Accorciarono gli spazi e pur nei limiti delle concezioni tattiche del tempo cercarono di controllare gli attaccanti ungheresi che apparivano impacciati ed in giornata di scarsa vena. Ci pensò Zsengeller a rimediare le cose. Grande attaccante dell’Ujpest, nato nel 1915, Gyula era allora ventitreenne, stava attraversando il periodo migliore della sua carriera troncata dal quinquennio della guerra. Nel giro di 20′ Zsengeller pareggiò e portò in vantaggio i suoi. Alla fine con un’ altra rete conquistò il comando delia classifica cannonieri e fissò il punteggio della semifinale sul 5-1. Il conflitto mondiale impedì a questo grande campione la completa valorizzazione dei suoi mezzi notevolissimi. Nel campionato magiaro 1938-39 segnò la bellezza di 56 reti nelle 26 partite del torneo ed anche in nazionale avrebbe certamente incrementato il suo record di 32 gei nelle 38 partite disputate. Venne in Italia alla Roma nel ’47 ma i patimenti e i dolori della guerra avevano influito sul suo morale e apparve come una pallida figura del grande atleta che era stato.

Il presidente francese Le Brun con gli azzurri prima della finale

Italia e Ungheria nuovamente di fronte. Una sfida che si ripeteva da anni, una classica del calcio centro-europeo. Da quella famosa partita di Budapest dell’11 maggio 1930 quando gli azzurri andarono a conquistare la Coppa Inter-nazionale e Meazza attinse le vette della celebrità europea, i magiari erano riusciti a pareggiare due sole volte perdendo i rimanenti incontri sia a Budapest che in Italia. Ma ora guardavano alla finalissima con una certa fiducia in virtù delle individualità di spicco che caratterizzavano ogni reparto della squadra. Gyula Lazar, grande laterale idolo delle folle ungheresi, Zsengeller tecnico e opportunista, e soprattutto Giorgio Sarosi, centravanti, erede diretto di Schaffer, Schlosser e Orth, gli antichi condottieri del passato, infondevano fiducia a Karol Dietz, ai tifosi magiari e anche agli sportivi cosiddetti neutrali che mal sopportavano le imprese degli azzurri e lo avevano dimostrato ad ogni occasione.

Questa barriera di impopolarità dovuta principalmente a ragioni politiche, circondava gli italiani dall’inizio della manifestazione e Vittorio Pozzo abile psicologo seppe approfittare della situazione con la dovuta misura solleticando l’orgoglio di ognuno. Le squadre scesero in campo al meglio della loro inquadratura: azzurri al completo nella medesima formazione che già aveva affrontato Francia e Brasile, magiari con: Szabo; Polgar Biro; Szalay Szucs Lazar; Sas Vincze Sarosi Zsengeller Titkos. Arbitrava il francese Capdeville davanti a quasi sessantamila spettatori accorsi al Parco dei Principi il 19 giugno 1938.

La partita si svolse nei canoni caratteristici delle due scuole. Ungheresi subito in avanti con trame fitte ed eleganti, ma già al 6′ la manovra azzurra apre ampi squarci nella difesa granata. Andreolo interviene su un corner dei magiari ed allunga sulla fascia destra a Serantoni, che fa viaggiare Biavati. Rincorsa e centro per Piola che fa proseguire la palla verso Colaussi. Il triestino irrompe in velocità e scaraventa in rete. Gioco di prima in velocità, tre passaggi e gol. Sembra facile… Un minuto più tardi pareggiano i magiari con Titkos. Il tiro incrociato dell’ala inganna Olivieri e termina in rete. Gli azzurri riprendono le fila del gioco senza tentennamenti e dopo aver colpito i legni Piola raccoglie un magico allungo di Meazza e batte imparabilmente Szabo. Ancora Meazza al 35′ fa viaggiare Colaussi sulla sinistra: breve rincorsa, diagonale incrociato e gol.

Il triestino Colaussi, inaspettato protagonista della Finale
VITTORIO POZZO
Nato a Torino il 2 marzo 1886 da una famiglia di origini biellesi profeticamente fedele al detto latino “nomen omen” (il destino nel nome). Giocò a calcio nelle file del Football Club Torinese, antesignano del Torino, e poi nel Grasshoppers, in Svizzera, e ancora in Francia e Inghilterra, dove l’aveva condotto lo studio delle lingue. Assunto dalla Pirelli, era entrato tra i soci fondatori del Torino e poi della Figc. Nel 1912, segretario della Federcalcio, venne chiamato a fungere da commissario tecnico della Nazionale di calcio per le Olimpiadi di Stoccolma, dopo le dimissioni in blocco della commissione selezionatrice. Dopo aver partecipato al conflitto mondiale, fu ancora commissario unico alle Olimpiadi, nel 1924, per poi dimettersi. Di lì a poco perse la moglie, gravemente ammalata. Trasferitosi a Milano, al lavoro nell’Ufficio Propaganda della Pirelli accoppiava quello di inviato de “La Stampa”. Qui lo scovò Leandro Arpinati, presidente della Figc, per faticosamente convincerlo ad assumere la guida della Nazionale. Una scelta felice, illustrata da due titoli mondiali, uno olimpico e due Coppe Internazionali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale perse il magico feeling con il successo. Venne rimosso nel 1948, e poi gli toccò una rimozione peggiore, quella dalle glorie nazionali: continuò a fare il giornalista per il quotidiano torinese, ma chiuso in una specie di recinto dall’ottusità di un mondo che non gli perdonava il successo passato, accusandolo (scioccamente) di connivenze col Regime fascista. Morì il 21 dicembre 1968, in un oblio che non fa onore al calcio italiano.
ALDO OLIVIERI
Grande portiere istintivo, militava nella Lucchese, ma passò al Torino dopo la splendida cavalcata mondiale, che lo vide tra i grandi protagonisti. Giocò 25 partite in Nazionale.
ALFREDO FONI
Raccolse nella Juventus la difficile eredità di Virginio Rosetta e non fece rimpiangere il grande predecessore, grazie a doti atletiche e tecniche da campione. Vinse uno scudetto con la Juventus e il titolo olimpico nel 1936, totalizzò 23 partite in Nazionale e fu poi allenatore di successo, conquistando due scudetti alla guida dell’Inter.
PIETRO RAVA
Formò con Alfredo Foni una celebre coppia di terzini juventini. Abile nel gioco di testa, vinse uno scudetto con la Juve, il titolo olimpico nel 1936 e collezionò 30 partite in Nazionale.
PIETRO SERANTONI
Era l”anima gemella”, sul piano tattico, di Giuseppe Meazza, con cui giocò a lungo nell’Ambrosiana. Era però anche un formidabile trascinatore e in azzurro rifulsero le sue doti di incontrista e maratoneta di grande tempra agonistica. Vinse la Coppa Internazionale del 1935, uno scudetto con l’Ambrosiana e uno con la Juve, giocando 17 partite in Nazionale.
MICHELE ANDREOLO
Cresciuto nel Nacional Montevideo, era centro-mediano di classe internazionale. Lo ingaggiò il Bologna, con cui vinse quattro scudetti e il Torneo dell’Esposizione di Parigi nel 1937, dopo i due scudetti conquistati in patria con il Nacional. In azzurro giocò 16 volte, degno seguito del grande Luis Monti, grazie alla raffinata tecnica di base e al grande senso tattico.
UGO LOCATELLI
Mediano di raffinata grana tecnica, campione olimpico nel 1936, vinse due scudetti con l’Ambrosiana-Inter, poi passò alla Juventus. In Nazionale giocò 22 partite.
AMEDEO BIAVATI
Possedeva solo il piede destro, non eccelleva nel tiro a rete, eppure fu una delle ali più efficaci della storia del calcio italiano. Cresciuto nel Bologna, affinò una finta micidiale, il “passo doppio”, che gli consentiva di saltare sempre l’uomo. A descriverlo ci provò il grande Gianni Brera: «lo scambietto, cioè la fìnta di iniziare il dribbling con il destro, teso e poi trattenuto e richiamato con armoniosa sornioneria quando l’avversario ha ormai pensato al sinistro: per la sua semplicità inganna l’avversario che sta per opporsi in tackle e vi rinuncia, insospettito da questa pausa: allora ne approfitta Biavati per partire e prendere vantaggio». Vinse tre scudetti con la squadra rossoblu, esordì in Nazionale al Mondiale del 1938 e collezionò 18 presenze in azzurro.
GIUSEPPE MEAZZA
Viene annoverato tra i più grandi in assoluto del calcio italiano. Talento purissimo e precoce, a diciotto anni era già titolare nella sua squadra, l’Ambrosiana, nelle cui giovanili era cresciuto e con cui avrebbe vinto due scudetti e tre titoli di capocannoniere, a diciannove era colonna della Nazionale. Lo soprannominarono “il Balilla”, il suo calcio era fatto di guizzi e invenzioni, sublimate da un innato senso del gol; dominò la scena per oltre un decennio (oltre alla maglia dell’Ambrosiana vestì, dopo una lunga assenza provocata da un embolo al piede destro, quelle di Milan, Juventus e Atalanta), realizzando 225 reti in Serie A. Celebre il suo gol con la “chiamata” del portiere, invitato all’uscita e beffato con un tiro secco dopo un accenno di finta. Centravanti per vocazione ma non certo di sfondamento (il suo tiro era perfido e preciso, non necessitava della potenza), venne genialmente arretrato a interno da Vittorio Pozzo, che ne fece un inimitabile inventore di gioco, di cui molto si giovarono attaccanti d’urto come Schiavio e Piola. Chiuse con 53 presenze e 33 reti in azzurro, simbolo leggendario di eleganza applicata al calcio. A lui è dedicato lo stadio milanese di San Siro.
SILVIO PIOLA
È stato il più grande attaccante italiano di tutti i tempi. Dalla Pro Vercelli passò alla Lazio, poi al Torino, alla Juventus e al Novara, totalizzando 290 reti in campionato, primato tuttora ineguagliato. Fisicamente forte, le leve lunghe gli consentivano una notevole abilità nel gioco di testa, possedeva un tiro secco e preciso, al quale gli aprivano la strada le sue doti di coraggio e irruenza in area di rigore. Fu due volte capocannoniere, vinse la Coppa Internazionale 1935, giocò 34 partite in Nazionale realizzando 30 reti. L’ultima sua partita in Nazionale risale al 1952, quando aveva 39 anni.
GIOVANNI FERRARI
E tuttora il primatista assoluto (assieme allo juventino Beppe Furino) di scudetti vinti, con ben otto titoli, conquistati in carriera con le maglie di Juventus, Ambrosiana-Inter e Bologna. Interno di rara intelligenza tattica, fu l’ideale complemento di Meazza, la cui fantasia e genialità mirabilmente contrappesava con il suo senso del raziocinio e la precisione del gioco. Provvisto di un tiro da lontano piuttosto pungente, vinse due Mondiali e due Coppe Internazionali, chiudendo la carriera azzurra con 44 presenze e 14 reti.
GINO COLAUSSI
Ala sinistra di grande velocità, alfiere I della Triestina, si intendeva a meraviglia con Piola e fu tra i più prolifici realizzatori azzurri: chiuse la carriera con 26 partite e 15 gol in Nazionale.
ERALDO MONZEGLIO
Terzino di raffinata grana tecnica, uscì dalla rinomata scuola casalese, prima di diventare campione col Bologna, nelle cui file vinse uno scudetto e due Mitropa Cup, prima di trasferirsi alla Roma. Collezionò 35 presenze in Nazionale e a fine carriera fu allenatore di buon livello.
PIETRO FERRARIS II
Funambolica ala dall’istinto vincente, vinse due scudetti con l’Ambrosiana, quattro con il Grande Torino, lasciato un anno prima della tragedia di Superga. Collezionò 14 partite in Nazionale.
PIETRO PASINATI
Era l’altra ala della Triestina, dotata di un tiro potente e di notevoli doti tecniche e di velocità. In Nazionale totalizzò 11 partite.
LE RISERVE
SERGIO BERTONI Centravanti campione olimpico nel 1936, giocò tre partite in Nazionale.
CARLO CERESOLI Successore di Giampiero Combi in Nazionale, perse i Mondiali 1934 per una frattura in allenamento nel ritiro azzurro. Vinse due scudetti col Bologna e il Torneo dell’Esposizione di Parigi nel 1937 e totalizzò 8 presenze in Nazionale.
BRUNO CHIZZO Interno, giocò per Udinese, Triestina, Milan e Genoa. Non esordì mai in azzurro.
ALDO DONATI Mediano, vinse due scudetti col Bologna e uno con la Roma, oltre a una Mitropa Cup con i colori rossoblu. Non esordì mai in azzurro.
MARIO GENTA Mediano, vinse uno scudetto con la Juventus e giocò 2 partite in Nazionale.
GUIDO MASETTI Portiere passato dal Verona alla Roma, dove vinse uno scudetto, giocò 2 partite in Nazionale.
RENATO OLMI Centromediano di grandi doti, vinse due scudetti con l’Ambrosiana Inter e totalizzò 3 partite in Nazionale.
MARIO PERAZZOLO Interno cresciuto nel Padova, giocò per Fiorentina, Genoa e Brescia e totalizzò 8 partite in Nazionale.
Nacque calcisticamente co­me nascevano (e ancora nascono) i grandi talenti brasiliani del calcio: sulle spiaggie di Rio, dove era nato il 6 set­tembre 1913 nel quartiere di Sao Cristovào. Ma dal futébol da spiaggia, Leonidas da Silva si disimpegnò presto, ovviamente per infinito amore. Si accasò, ancora ragazzino, in una squa­dretta rionale di Fonseca Lima, che giocava a due passi da casa sua, e da lì alle giovanili del Sao Cristovào il passo fu brevissimo, e naturale. Passò da Havanesa, Barroso, Sul Americano e Sirio Libanes, e in quest’ultima so­cietà si distinse anche come gio­catore di pallacanestro, grazie al­le spiccate doti di saltatore, no­nostante il fisico decisamente so­lido (173 centimetri per 75 chili, nei momenti di maggior fulgore e furore agonistico). La grande occasione gli arrivò con l’ingag­gio del Bomsuccesso, e non solo per l’offerta immediata che lo convinse a cambiare nuovamente casacca (due vestiti con due paia di scarpe e di guanti, roba da si­gnori).

Il fatto è che nel frattem­po Leonidas aveva affinato le sue qualità di predatore d’area, che di lì a poco ne avrebbero fat­to il più classico e spettacolare dei centravanti. Nel ’32, due an­ni dopo l’inizio dell’avventura col Bonsuccesso, il ragazzo (di­ciannove anni appena) era in Na­zionale. Debutto con fuochi d’artificio: entrato nella ripresa durante un’amichevole con l’U­ruguay, segnò subito una dop­pietta. Passato al Penarol, dove giocò da maggio a settembre del ’33 (16 partite e 11 reti), rientrò presto in Brasile, al Vasco da Gama. Dopo il successo imme­diato in campionato, e dopo la partecipazione infausta al Mon­diale del ’34 (una sola partita, un suo gol per il Brasile) il globe­trotter del gol cambiò ancora ca­sacca passando al Botafogo nel ’34 e al Flamengo nel ’36. Con la maglia rossonera vinse i titoli del ’36, ’37 e ’39, e la classifica dei marcatori nel ’38, ’39 e ’40, quest’ultimo segnando 43 reti in una sola stagione.

Al Mondiale di Francia diede spettacolo, an­che se la Selecao non riuscì ad andare oltre la finale di consola­zione: proprio in quell’ultimo at­to, inutile per la squadra, il «Dia­mante nero» alimentò la sua leg­genda con una doppietta che lo portò saldamente (e definitiva­mente) al comando della classi­fica marcatori con otto reti. Pec­cato che in semifinale il Ct Pi­menta avesse deciso di rispar­miarlo contro l’Italia, per averlo fresco in una finale che i verdeoro non raggiunsero mai. Nel ’40 il campione non poté dire di no: fece la valigia e si trasferì al Boca Juniors, dove restò due anni soffrendo di saudade. Riprese al volo il treno per il Brasile e co­nobbe ancora momenti di gloria al San Paolo. Al rientro in patria, regalò alla sua nuova società ot­tomila nuovi abbonati, e un “tut­to esaurito” da 72.218 spettatori in occasione dell’ennesimo de­butto. Si divertì parecchio col San Paolo, vincendo cinque tito­li (nel ’43, ’45, ’46, ’48 e ’49).

LA CLASSIFICA MARCATORI di Francia 1938

8 reti: Leonidas (Brasile);
5 reti: Piola (Italia), Zsengeller (Ungheria);
4 reti: Colaussi (Italia), Wilimowski (Polognia), Wetterström (Svezia), Sarosi I (Ungheria);
3 reti: Romeu (Brasile), Abegglen III (Svizzera), Nyberg (Svezia);
2 reti: Nejedly (Cecoslovacchia, 1 rigore), Peracio (Brasile), Nicolas (Francia, Maquina (Cuba), Dobay (Romania), H. Andersson (Svezia), Titkos e Toldi (Ungheria);
1 rete: Isemborghs (Belgio), Roberto (Brasile), Kopecky, Kostalek e Zeman (Cecoslovacchia), Socorro, Sosa e Tunas (Cuba), Heisserer e Veinante (Francia), Gauchel e Hahnemann (Germania), Ferraris II e Meazza (1) (Italia), Brustad (Norvegia), Scherfke II (Polonia), Covaci e Baratki (Romania), Jonasson e Keller (Svezia), Bickel e Walaschek (Svizzera), Kohut (Ungheria);
Autoreti: Lörtscher (Svizzera) pro Germania, Eriksson (Svezia) pro Ungheria

4 giugno
Parigi, Parco dei Principi, ottavi di finale Svizzera-Germania 1-1 (dopo i tempi supplementari). Più che per gli svizzeri, il pubblico parigino, alla luce degli avvenimenti politici che stanno sconvolgendo l’Europa (leggi: ascesa del nazismo), fischia all’indirizzo dei giocatori tedeschi. Inoltre Hitler ha appena annesso il territorio austriaco al Reich: questa annessione territoriale ha arrecato un’annessione anche sportiva: non ci sono più una squadra austriaca (il famoso “Wunderteam” che ha dominato il calcio europeo di quegli anni) e una squadra tedesca, bensì una compagine germanica. Si tratta di una forzatura imposta dalle autorità e, come spesso accade in occasione di tali forzature, l’esperimento fallisce miseramente: nella ripetizione degli ottavi del 9 giugno (non esistevano ancora nè golden goal, nè calci di rigore), la “Pangermania” verrà eliminata dagli elvetici (4-2).
5 giugno
Reims, ottavi di finale Ungheria-Indie Olandesi 6-0. L’Ungheria, futura vice-campione del mondo, dilaga contro le Indie Olandesi, che erano state chiamate all’ultimo momento al posto degli Stati Uniti. Per prendere parte al torneo iridato e, soprattutto, per coprire almeno in parte il lungo e costoso viaggio di trasferimento in Europa, si viene a sapere che la compagine delle Indie Olandesi ha ricevuto un indennizzo di ben 350.000 franchi francesi, una somma non trascurabile a quei tempi.
6 giugno
Marsiglia. Ultima giornata marsigliese della squadra azzurra, che ha oggi fatto visita alla Casa d’Italia partecipando ad un pranzo offerto dai molti connazionali presenti. Nel pomeriggio, i giocatori e i dirigenti italiani si sono recati nei dintorni della città, dedicando la serata ai preparativi per il viaggio di domani alla volta di Parigi.
7 giugno
Viaggio (“pessimo per il caldo soffocante”, come confidò alla stampa il giocatore Ceresoli) di trasferimento della squadra italiana da Marsiglia, dove il 5 gli azzurri avevano superato a stento la Norvegia (2-1 dopo i supplementari), a Parigi, città in cui era in programma la partita dei quarti contro i padroni di casa della Francia. All’arrivo, alla stazione ferroviaria “Gare de Lyon”, Rava e Serantoni cominciano a scaricare i bagagli per cercare di velocizzare i tempi e di poter giungere il più presto possibile in albergo, essendo già le 19.00. Questa operazione viene però ben presto bloccata da un delegato sindacale della categoria dei “porteurs”, vale a dire dei facchini: a detta di quest’ultimo, infatti, in Francia non è permesso, a degli stranieri non iscritti ad una categoria sindacale, svolgere alcun tipo di attività lavorativa. L’”incidente” viene tuttavia risolto in breve tempo.
8 giugno
Giornata di riposo per i giocatori italiani, stanchi e provati sia dalla partita sostenuta a Marsiglia contro i norvegesi che per il lungo ed estenuante viaggio di trafserimento del giorno prima da Marsiglia a Parigi. Il commissario tecnico Pozzo, famoso per la sua pignoleria, è l’unico membro della compagine italiana a non starsene tranquillo e rilassato: nel preparare la seduta di allenamento del giorno seguente, dispone l’acquisto di alcuni palloni usati in Francia, di dimensioni leggermente superiori a quelli comunemente usati in Italia. Guillermo Stabile, campione del mondo proprio con Pozzo quattro anni prima e attualmente allenatore della squadra parigina del Red Star, in visita presso il ritiro dei suoi ex compagni di squadra, si offre di acquistare i palloni di gioco.
9 giugno
Sopralluogo della stampa nell’albergo parigino dove alloggia la squadra del Brasile, di cui fa parte tra gli altri il fuoriclasse Leonidas, detto “Diamante Nero”. Mentre i giocatori delle altre squadre si lamentano del caldo afoso (temperatura anche di 27° all’ombra), gli unici atleti a temere per la temperatura del clima, non abbastanza alta soprattutto dopo il tramonto, sono proprio i brasiliani, la maggior parte dei quali originari di Rio de Janeiro. Potrebbe essere, questo, un caso condiviso dai cubani, che, alloggiando tuttavia nel caldo torrido di Marsiglia, non sembrano avere problemi di… freddo.
10 giugno
Diversi modi di ingannare l’attesa delle partite. Vigilia dei quarti di finale tra Francia e Italia: mentre la squadra italiana si svaga passeggiando, dopo l’allenamento quotidiano, nel parco parigino di Saint Germaine, quella francese preferisce recarsi all’ippodromo di Chantilly, dove i calciatori transalpini scommettono, a dire il vero senza fortuna, sulle corse dei cavalli.
11 giugno
Vigilia dei quarti di finale Ungheria-Svizzera in programma a Lilla. Il commissario tecnico ungherese scrive un biglietto con queste parole: “Io sottoscritto, Karl Dietz, mi impegno ad effettuare a piedi il percorso Lilla-Budapest se l’Ungheria sarà battuta dalla Svizzera”, dichiarazione, questa, controfirmata dal presidente della federazione magiara, Usetty. La sorte arriderà a Dietz: Ungheria batte Svizzera 2-0.
12 giugno
Bordeaux, quarti di finale, Brasile-Cecoslovacchia 1-1 (dopo i tempi supplementari). Pareggio cecoslovacco siglato da Nejedly che, pur avendo un piede rotto, segna su rigore, crolla a terra, sviene per il dolore e viene ricoverato nell’ospedale cittadino. Il giocatore infortunato verrà presto raggiunto dal portiere Planicka, suo compagno di squadra, caricato rudemente da un giocatore brasiliano. Diagnosi: frattura del braccio e Mondiale finito.
13 giugno
Parigi. Partenza della squadra italiana (alle ore 20.00) dalla capitale alla volta di Aix-en-Provence. E’ stata preferita a Marsiglia la cittadina provenzale, in quanto più piccola e raccolta, lontana dai rumori e dal caos propri di un grosso centro urbano. Inoltre i dirigenti azzurri hanno fatto sapere che tra tre giorni, quando l’Italia dovrà affrontare il Brasile, si trasferiranno a Marsiglia, dove è in programma l’incontro, soltanto poche ore prima della partita stessa.
14 giugno
Bordeaux, ripetizione dei quarti di finale Brasile-Cecoslovacchia 2-1. Al 23′ segna il ceco Kopecky, che, qualche minuto più tardi, viene falciato da un difensore brasiliano ed è così costretto ad abbandonare il campo: finirà in infermeria. Dopo il pareggio brasiliano siglato da Leonidas (56′), il centravanti boemo Senecky calcia in porta, il portiere brasiliano Walter agguanta la palla quando questa ha già varcato la linea bianca: l’arbitro francese Capdeville non vede e non convalida un gol regolarissimo dei cecoslovacchi, beffati qualche minuto dopo (60′) dalla rete del brasiliano Roberto del definitivo 2-1.
15 giugno
Show improvvisato da alcuni giocatori brasiliani in una stazione parigina. La noia è tanta, soprattutto quella che si vive durante i lunghi viaggi di trasferimento da una parte all’altra della Francia (da Bordeaux a Marsiglia): ecco che, d’incanto, dalla sacca di un magazziniere esce un pallone, al quale non sanno dire di no i maestri sudamericani: palleggi funambolici, colpi di tacco, interminabili tocchi con l’esterno e il collo del piede. Ferrovieri, giornalisti, facchini, bambini e anziani tributano un interminabile applauso a questo meraviglioso spettacolo.
16 giugno
Marsiglia, semifinale Italia-Brasile 2-1. Al 60′, sul risultato di 1-0 per gli azzurri, l’arbitro svizzero Wuetrich decreta un calcio di rigore a favore dell’Italia per atterramento di Piola all’interno dell’area brasiliana. S’incarica del tiro dal dischetto Meazza. Il giocatore italiano inizia a indugiare e a fare degli strani saltelli, facendo dei brevi passi durante la rincorsa: poi finalmente tira e segna spiazzando il portiere brasiliano Walter. Pronta la spiegazione di Meazza a questo modo, decisamente inconsueto, di calciare il pallone: prima di tirare, mentre si stava chinando per sistemare la palla sul dischetto, gli si era rotto l’elastico dei pantaloncini, che aveva così dovuto tenere con una mano per non restare in mutande…
17 giugno
Campo di allenamento degli ungheresi, prossimi avversari dell’Italia in finale, che si esercitano agli ordini del CT Dietz in un campetto parigino tutto buche e sassi. Benché faccia molto caldo, i giocatori ungheresi sono coperti da maglioni e da pesanti tute di flanella allo scopo di perdere chili eventualmente acquisiti nei giorni di riposo tra una partita e l’altra.
18 giugno
Parigi (Saint Germain), sede del ritiro della nazionale italiana. Nel pomeriggio Foni, Colaussi e Piola si sono recati in una clinica cittadina per sottoporre alle cure dei raggi le loro contusioni. Gli altri giocatori azzurri hanno ingannato il tempo passeggiando nei boschi circostanti l’albergo, non prima aver sostentato una breve seduta di allenamento atletico.
19 giugno
Bordeaux, finale per il 3° posto Brasile-Svezia 4-2. Con la doppietta realizzata nella finale di consolazione, il brasiliano Leonidas diventa capocannoniere del torneo con 8 reti. E’ il giocatore simbolo del Mondiale 1938: i soprannomi che lo accompagnano più frequentemente sono “Homem de borracha” (uomo di gomma), così detto per la sua capacità di assorbire il “trattamento” della difesa avversaria, e, soprattutto, di “Diamante preto” (diamante nero).
BELGIO
1938-teams-nncnsdf7-belgioP Badjou, P Braet, P Vandeweyer, D Gommers, D Paverick, D Petit, D Seys, D Smellinckx, C Dalem, C De Winter, C Henry, C Stijnen, C Van Alphen, A Braine, A Buyle, A Capelle, A Ceuleers, A Fievez, A Isemborghs, A Nelis, A Vanden Wouwer, A Voorhoof CT: Butler
BRASILE
1938-teams-nncnsdf7-brasileP Batatais, P Walter, D Domingos da Guia, D Jaú, D Martim, D Nariz, C Afonsinho, C Argemiro, C Brandão, C Britto, C Machado, C Zezé Procópio, A Hércules, A Leônidas, A Lopes, A Luisinho, A Niginho, A Patesko, A Perácio, A Roberto, A Romeu, A Tim CT: Pimenta
CECOSLOVACCHIA
1938-teams-nncnsdf7-cecoslovacchiaP Burkert, P Plánička, D Burgr, D Černý, D Daučík, D Orth, C Bouček, C Kolský, C Kopecký, C Košťálek, C Nožíř, A Bradáč, A Horák, A Kreuz, A Ludl, A Nejedlý, A Puč, A Říha, A Rulc, A Senecký, A Šimůnek, A Zeman CT: Meissner
CUBA
1938-teams-nncnsdf7-cubaP Ayra, P Carvajales, D Barquín, D Chorens, C Arias, C Berges, C Rodríguez, C Galcerán, A Alonzo, A Fernández, A Ferrer, A Magriñá, A Oliveira, A Socorro, A Sosa, A Tuñas CT: Tapia
FRANCIA
1938-teams-nncnsdf7-franciaP Darui, P Di Lorto, P Llense, D Ben Bouali, D Cazenave, D Mattler, D Povolny, D Vandooren, C Bastien, C Bourbotte, C Diagne, C Jasseron, C Jordan, A Aston, A Brusseaux, A Courtois, A Delfour, A Heisserer, A Kowalczyk, A Nicolas, A Veinante, A Zatelli CT: Barreau
GERMANIA
1938-teams-nncnsdf7-germaniaP Buchloh, P Jakob, P Raftl, D Janes, D Schmaus, D Streitle, C Goldbrunner, C Kitzinger, C Kupfer, C Mock, C Münzenberg, C Skoumal, C Wagner, A Gauchel, A Gellesch, A Hahnemann, A Lehner, A Neumer, A Pesser, A Siffling, A Stroh, A Szepan CT: Herberger
INDIE OLANDESI
1938-teams-nncnsdf7-indieolandesiP Van Beusekom, P Tan M.H., D Dorst, D Harting, D Hu Kon, D Samuels, C Anwar, C Faulhaber, C Meeng, C Nawir, C Van Den Burgh, A Pattiwael, A Soedarmadji, A Taihuttu, A Tan H.D., A Tan S.H., A Teilherber, A Telwe, A Zomers CT: Mastenbroek
ITALIA
1938-teams-nncnsdf7-italiaP Ceresoli, P Masetti, P Olivieri, D Foni, D Monzeglio, D Rava, C Andreolo, C Chizzo, C Donati, C Ferrari, C Genta, C Locatelli, C Meazza, C Olmi, C Perazzolo, C Serantoni, A Bertoni, A Biavati, A Colaussi, A Ferraris II, A Pasinati, A Piola CT: Pozzo
AUSTRIA
  • ritirata a causa dell’Anschluss
NORVEGIA
1938-teams-nncnsdf7-norvegiaP Johansen, P Kihle, P Nordby, D Amundsen, D Andersen, D Eriksen, D Holmsen, D Johannessen, D Juve, C Andreassen, C Hansen, C Henriksen, C Holmberg, C Ulleberg, A Andresen, A Brustad, A Brynildsen, A Frantzen, A Ileby, A Isaksen, A Kvammen, A Martinsen CT: Halvorsen
OLANDA
1938-teams-nncnsdf7-olandaP Michel, P van Male, D Been, D Caldenhove, D Plenter, D Weber, C Anderiesen, C Hogenbirk, C Paauwe, C Pijpers, C van Heel, A de Boer, A de Harder, A de Winter, A Drok, A Ooms, D Punt, A Smit, A van der Veen, A van Spaandonck, A Vente, A Wels CT: Glendenning
POLONIA
1938-teams-nncnsdf7-poloniaP Brom, P Madejski, D Gałecki, D Giemsa, D Szczepaniak, D Twórz, C Dytko, C Góra, C Lis, C Nyc, C W. Piec, C Wasiewicz, A Baran, A Cebula, A Habowski, A Korbas, A Łyko, A Piontek, A R. Piec, A Scherfke, A Wilimowski, A Wodarz CT: Kałuża
ROMANIA
1938-teams-nncnsdf7-romaniaP David, P Pavlovici, P Sadowski, D Bürger, D Chiroiu, D Felecan, D Sfera, C Bărbulescu, C Brandabura, C Cossini, C Rășinaru, C Raffinsky, A Baratky, A Bindea, A Bodola, A Bogdan, A Braun-Bogdan, A Dobay, A Kovács, A Moldoveanu, A Nagy, A Prassler CT: Rădulescu e Săvulescu
SVEZIA
1938-teams-nncnsdf7-sveziaP Abrahamsson, P Bergqvist, P Sjöberg, D Eriksson, D Källgren, D Nilsson, C Almgren, C Grahn, C Jacobsson, C Lind, C Linderholm, C Svanström, A Å. Andersson, A H. Andersson, A Bergsten, A Hansson, A Jonasson, A Karlsson, A Keller, A Nyberg, A Persson, A Wetterström CT: Nagy
SVIZZERA
1938-teams-nncnsdf7-svizzeraP Ballabio, P Bizzozzero, P Huber, D Lehmann, D Minelli, D Stelzer, C Guinchard, C Lörtscher, C Rauch, C Springer, C Vernati, A Abegglen, A Aeby, A Aebi, A Amadò, A Bickel, A Frigerio, A Grassi, A Kielholz, A Rupf, A Wagner, A Walaschek CT: Rappan
UNGHERIA
1938-teams-nncnsdf7-ungheriaP Háda, P Pálinkás, P Szabó, D S. Bíró, D Korányi, C Balogh, C Dudás, C Lázár, C Polgár, C B. Sárosi, C Szalay, C Szűcs, C Turay, A M. Bíró, A Cseh, A Kohut, A G. Sárosi, A Sas, A Titkos, A Toldi, A Vincze, A Zsengellér CT: Dietz e Schaffer