In ricordo di Berto Ricci – 2 Febbraio 1941

In ricordo di Berto Ricci - 2 Febbraio 1941“C’è in Italia un po’ di gente, gente giovane, e cominciano a riconoscersi e a contarsi, che non si sente nata a far da fedelissimo a nessuno; che saggia, sonda, sposta la visuale, rasenta a volte l’eresia, e preferisce lo sbagliarsi al dondolarsi tra gli agevoli schemi; che parla un linguaggio proprio e ha proprie e ben riconoscibili idee; che considera il presente unicamente in funzione del futuro; che ha buone gambe e una tremenda voglia di camminare.”

Soprannominato Berto, nacque a Firenze il 21 maggio del 1905. Dopo tormentate e svariate esperienze politiche giovanili, aderì nel 1927 al Partito Nazionale Fascista, costituendo l’avanguardia della seconda generazione Fascista con Guido Pallotta, Niccolò Giani, Carlo Roddolo e Dino Garrone, tra l’altro tutti come lui caduti in guerra. Nel novembre del 1932 si era sposato: ebbe due figli Giuliana e Paolo. Si fece subito luce come giornalista nei periodici “Strapaese” e “Selvaggio”. Dopo la laurea in matematica, conseguita a ventuno anni a Pisa, cominciò ad insegnare nella scuola media e nel frattempo collaborò con alcune riviste fiorentine, tra cui “Il Bargello”. Anche se matematico, fu intimamente umanista dedicandosi, oltre alle poesie, a traduzioni di Ovidio e di Shakespeare. Sostenne in effetti la fondamentale necessità dell’impegno nella ricerca scientifica solo quale mezzo, o stadio di transizione, per la cultura moderna. Nel 1931 pubblicò il saggio “Lo scrittore italiano”, intenso scritto che traccia il ritratto inconsueto del vero intellettuale che sa coltivare il suo anticonformismo creativo senza separarsi dalla vita politica e civile del suo popolo. Roberto Ricci dette una rappresentazione alta dell’intellettuale organico, militante e libero ad un tempo. Collaborò al “Popolo d’Italia” ed a “Critica Fascista”. Gli scritti trattarono di politica, critica di vita quotidiana, problemi di costume, recensioni di libri, poesie e ferme polemiche. I suoi pezzi più seguiti ed attesi dai lettori furono i famosi “Avvisi” coi quali aprì spesso notevoli polemiche a tutto tondo. Volontario nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale come semplice Camicia Nera della divisione “Ventitre marzo”, rimase così saldo e umile che i suoi camerati seppero che era un Professore soltanto quando i comandi superiori lo inviarono d’autorità a seguire un corso Ufficiali a Saganeiti. Tornato dall’impresa Imperiale pensò inizialmente di riprendere la pubblicazione, ma poi si dedicò all’insegnamento della matematica per due anni a Palermo, quindi tornò a Firenze ed ebbe la cattedra a Prato. Ligio ai suoi principi anche nella vita privata, fu esempio di rigore ed umiltà francescana: rifiutò sempre ogni carica, vivendo in modo spartano, ad esempio il suo banchetto di nozze si ridusse ad un frettoloso cappuccino con sette amici presenti. Fu fustigatore delle pur minime mollezze, sì da risultare un esempio di sistema di vita. Il rigore morale, unito alla missione di azione e di fede, anche per mezzo della penna, fu esemplare riferimento per i suoi contemporanei. Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, si arruolò ancora volontario e fu inviato sul fronte libico – egiziano nel Reparto di Artiglieria. Sul fronte egiziano portò con sé un quaderno in cui annotava pensieri per un nuovo libro sulla Gioventù Fascista, che andò purtroppo perduto: si sarebbe intitolato “Tempo di sintesi”. Rimase solamente l’idea generale scritta in una pagina dallo stesso Roberto Ricci: “Il libro esamina anzitutto lo stato della gioventù fascista. I candidi, i tiepidi, i profittatori, i combattenti. La minoranza attiva e la massa plastica. Anacronismo delle due torri d’avorio, la intellettuale e la politica. Postulato dell’uomo totale nello Stato totalitario. L’unità fascista sorge da molteplicità di motivi, di tendenze, di esigenze. Assorbe e trascende gli imperativi del nazionalismo e del socialismo, dell’etica e dell’economia, dell’attivismo e della cultura. Le esalta nella sua universalità negandone i particolarismi singoli. Fine del frammentario e avvento della sintesi. Non fu confusione, perché il ritmo della storia alterna le fasi della giustizia sociale e della potenza imperiale, ciascuna esigenza ponendosi periodicamente in primo piano senza annullare le altre. La sintesi non riguardava solo il corso d’un moto politico ma investiva la personalità umana e la storia civile, morale, intellettuale in tutti i suoi aspetti. Tempo, dunque, gloriosamente unitario tra le varie facoltà e attività dell’uomo, tra le varie discipline della pratica e del pensiero, e nell’interno di ciascuna. Tempo che ripiglia, con in più l’unità politica e la millenaria esperienza spirituale, la stagione più fertile dello spirito italiano, la sua tradizione più vera, la sua più creatrice armonia. Sintesi, che risolveva le antitesi della modernità europea e soprattutto francese: somma politica e vitale, di conoscenza e di azione, d’intelletto e di fede”. Insomma una fase compiuta della sintesi Fascista, di cui si sarebbero dovute far carico le nuove generazioni. Il tema della classe dirigente fu peraltro centrale nel pensiero di Roberto Ricci. Egli mirava dichiaratamente alla formazione dei nuclei di una nuova dirigenza intellettuale e politica tra i giovani della seconda generazione Fascista. Nel gennaio 1941 scrisse ai genitori:

“Ai due ragazzi penso sempre con orgoglio ed entusiasmo. Siamo qui anche per loro, perché questi piccini vivano in un mondo meno ladro; e perché la sia finita con gli inglesi e coi loro degni fratelli d’oltremare, ma anche con qualche inglese d’Italia”.

In Libia, nel Gebel Cirenaico, verso le nove del mattino del 2 febbraio 1941, la sua batteria fu attaccata presso un pozzo montagnoso tra Barce e Cirene, vicino a Bir Gandula, ed egli fu mitragliato da uno Spitfire inglese. Fu sepolto nel sacrario di Bari.